Record del deficit commerciale e realtà nucleare: il Giappone perde l’indipendenza?
gennaio 30, 2014
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Noriko Watanabe e Walter Sebastian
Modern Tokyo Times 29 gennaio 2014

La lobby anti-nucleare in Giappone e i mass media in questa nazione nel complesso continuano a concentrarsi sull’aspetto negativo delle centrali nucleari. Non a caso, il governo del Giappone si agita su tale problema, proprio come in altri importanti campi, ad esempio, il tasso di natalità in declino. Tuttavia, il Giappone non può permettersi di mantenere la politica energetica attuale, perché ostacola l’economia. Il Giappone deve passare dal nucleare che ha contribuito alla modernizzazione della nazione nel dopoguerra, ad ingoiare il rospo e formulare una politica energetica alternativa e rapidamente. Il Ministero delle Finanze ha annunciato all’inizio di questa settimana che il deficit commerciale nel 2013 ha raggiunto una cifra record. Ciò dovrebbe far scattare i campanelli d’allarme nelle stanze del potere, perché il deficit commerciale di 112 miliardi di dollari stresserà l’economia. Dopo tutto, senza una vera politica energetica in Giappone, sembrerà più possibile oggi seguire lo stesso schema che nei prossimi anni.
Le questioni relative alla crisi nucleare in Giappone sembrano essere esplose a dismisura. Dopo tutto, l’enorme perdita di vite umane verificatasi per il tremendo tsunami seguito al terremoto di magnitudo 9.0 dell’11 marzo 2011. Ciò non significa sminuire il trauma causato al territorio di Fukushima, perché in una certa zona è chiaro che i problemi continuano a sussistere. Tuttavia, la crisi nucleare di Fukushima Daiichi è più dovuta a cattiva gestione, età dell’impianto, carenze della pianificazione dell’impianto nucleare, mancanza di responsabilità e meccanismi di sicurezza limitati, e altre competenze importanti. Naturalmente, il terremoto ha innescato lo tsunami, ma la crisi nucleare è dovuta al fallimento umano di fronte alla brutale realtà della natura. Vojin Joksimovich, specialista nucleare e autore di
Tokyo Modern Times, ha dichiarato lo scorso anno: “
Il Giappone ha poche risorse naturali e importa circa l’84% del suo fabbisogno energetico. L’energia nucleare è una priorità strategica nazionale dal 1973. Le 54 centrali nucleari del Paese forniscono circa il 30% dell’elettricità. Era previsto un aumento fino al 40% entro il 2017 e al 50% entro il 2030. Il Giappone controlla il ciclo del combustibile compreso l’arricchimento e il ritrattamento del combustibile utilizzato per il riciclo e la minimizzazione dei rifiuti. La sospensione di 48 unità di produzione elettrica ha comportato l’impennata dell’importazione di combustibili fossili, soprattutto GNL. Cinque centrali nucleari sono state costrette ad alzare le tariffe di energia elettrica: per l’uso domestico del 8,5-11,9%; commerciale del 14,2-19,2%. Secondo lo studio sul cambiamento climatico della NASA, riassunto nel numero di maggio 2013 di Nuclear News, l’uso di energia nucleare per generare elettricità invece che bruciare combustibili fossili, ha impedito almeno 1,84 milioni di morti per l’inquinamento atmosferico e 64 miliardi di tonnellate di gas serra CO2 in emissioni di gas, tra il 1971 e il 2009. Nel 2000-2009 gli impianti nucleari hanno impedito, in media, 76000 decessi/anno. Sembra che l’ANR abbia ignorato tale tipo di considerazioni, pur perseguendo la ricerca della sicurezza assoluta per le centrali nucleari.”
Nello stesso articolo Vojin Joksimovich dice: “
Ora vi sono numerose prove che dimostrano che il peggiore incidente nella storia dell’energia nucleare commerciale non ha danneggiato la popolazione giapponese. Il professore di fisica dell’Università di Oxford Wade Allison, autore del notevole libro Radiazione e Ragione: l’impatto della scienza sulla cultura della paura, testimoniando alla Camera dei Comuni inglese nel dicembre del 2011, fu il primo a dire al mondo che l’incidente non danneggiava la popolazione giapponese: “Nessun balzo dei decessi, né gravi lesioni, ricoveri prolungati per radiazioni, improbabilità di decessi per cancro in 50 anni. Il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) affermava: “Basso rischio per la popolazione, senza effetti sulla salute osservabili”. La relazione del Comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli Effetti delle Radiazioni Atomiche (UNSCEAR), con il contributo di 80 esperti internazionali, dice: “Niente effetti immediati sulla salute, improbabili effetti sulla salute in futuro sulla popolazione e l’ampia maggioranza dei lavoratori”. La maggior parte dei giapponesi è stata esposta a radiazioni supplementari inferiori al livello naturale di 2,1mSv/anno. La relazione conclude che gli effetti osservabili sono imputabili a sollecitazioni per l’evacuazione e paura ingiustificata delle radiazioni. Ciò significa che gli effetti sulla salute più gravi non sono provocati da radiazioni ma dalla paura indotta dalle autorità giapponesi. Infine, la Fukushima Medical University (FMU) conduce un sondaggio sulla gestione della salute nei 2 milioni di residenti della prefettura di Fukushima. Finora la dose massima ricevuta è stato solo di 19mSv. L’autore mentre era in un ospedale locale, ricevette dosi da 30-40mSv dalle scansioni del CT. Ciò significa che ha ricevuto dosi superiori al 99% della popolazione giapponese per l’incidente di Daiichi.“
Ora il Giappone ha bloccato una politica nucleare pragmatica basata sulla modernizzazione dell’intero sistema e applica norme più severe, e continua ad importare energia sporca a costi negativi in termini di salute, ostacolando l’economia. Naturalmente il Giappone potrebbe tentare di modificare radicalmente la propria politica energetica, attuando una politica che aumenti l’energia alternativa, di cui effetti e costi rimangono discutibili. Tuttavia, l’attuale affidarsi ai costosi combustibili fossili importati per colmare una politica energetica inesistente, non è praticabile. L’enorme deficit è dovuto all’aumento delle importazioni a seguito del terremoto di magnitudo 9.0 dell’11 marzo, che innescò lo tsunami e la crisi nucleare di Fukushima. In questo periodo, le importazioni di combustibili fossili continuano ad aumentare. Pertanto, nonostante le esportazioni dal Giappone aumentate di quasi il 10% nel 2013, è chiaro che lo squilibrio commerciale, uno yen debole e la dipendenza dai combustibili fossili, colpiscono l’economia in difficoltà. Forbes dice: “
L’aumento della domanda di combustibili fossili giapponese a seguito della crisi nucleare di Fukushima, nel 2011, ha spinto le importazioni al picco assoluto di 81260 miliardi di yen”. In altre parole, l’impennata delle bollette post-Fukushima impone un pedaggio all’economia del Giappone. Prima del fiasco di Fukushima, i reattori nucleari fornivano un terzo del fabbisogno elettrico del Giappone.
Lee Jay Walker di
Tokyo Modern Times dice: “
Lo yen continua a sentire gli effetti del disavanzo delle partite correnti e se questo non cambia, i trader potrebbero vendere altri yen. Ciò a sua volta avrà effetti negativi sui costi d’importazione, creando così una spirale economica discendente. Pertanto, data la realtà dell’aumento di quasi il 10% delle esportazioni, lo scorso anno, è chiaro che il Giappone dovrà affrontare una politica energetica, oltre ad altri settori essenziali per l’economia.” Akira Amari, ministro per la Politica fiscale ed economica, è estremamente preoccupato dal deficit. Avverte che, a meno che il problema sia affrontato, il Giappone “
potrebbe diventare come gli Stati Uniti, dipendente dagli altri Paesi sul piano finanziario“. Se tale scenario si avvera, il Giappone perderà ulteriormente indipendenza, e ciò vale anche per il nucleare. Dopo tutto, lo sviluppo dell’industria nucleare dava autonomia, data la debolezza complessiva del Giappone sulle risorse energetiche. Ora però il Giappone importa più combustibili fossili, è debitore con gli USA per la protezione dello Stato-nazione, in quanto le loro forze armate sono di stanza in Giappone, mentre i prodotti alimentari importati sono un fatto naturale, e se il deficit commerciale continua così, presto il Giappone dovrà contare sulle nazioni straniere per i finanziamenti. Pertanto, l’attuale leadership del Giappone deve concentrarsi su una politica energetica adeguata, perché la situazione attuale mina l’economia e genera ad altri mali.

Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora
Uniti dall’odio
gennaio 29, 2014
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Manuel Ochsenreiter 29 gennaio 2014
Il Prof. Aleksandr Dugin è un filosofo e professore all’Università statale di Mosca. Dugin è il leader internazionale del “Movimento eurasiatista”, ed è noto per il libro ‘Fondamenti di geopolitica’.
Prof. Dugin, i media mainstream e le dirigenze politiche occidentali descrivono la recente situazione in Ucraina come un conflitto tra l’alleanza dell’opposizione democratica e liberale pro-europea e un regime autoritario con un dittatore come presidente. È d’accordo?
Dugin: Conosco tale storia e ritengo che questo tipo di analisi sia totalmente sbagliato. Non possiamo dividere il mondo di oggi come nella Guerra Fredda. Non c’è un “mondo democratico” che si erge contro un “mondo antidemocratico”, come molti media occidentali riportano.
Il vostro Paese, la Russia, è uno dei nuclei di questo cosiddetto “mondo antidemocratico” se crediamo ai nostri media mainstream. E la Russia con il Presidente Vladimir Putin cerca d’intervenire nella politica interna ucraina, leggiamo…
Dugin: Questo è completamente sbagliato. La Russia è una democrazia liberale. Date un’occhiata alla costituzione russa: abbiamo un sistema elettorale democratico, un parlamento funzionante, un sistema di libero mercato. La Costituzione si basa sul modello occidentale. Il nostro presidente Vladimir Putin governa il Paese in modo democratico. Non siamo una monarchia, una dittatura, un regime comunista sovietico.
I nostri politici in Germania chiamano Putin “dittatore”!
Dugin: (ride) Su quali basi?
A causa delle sue leggi contro gli LGBT, il sostegno alla Siria, i processi contro Mikhail Khodorkhovskij e ‘Pussy Riot’…
Dugin: Così lo chiamano “dittatore”, perché a loro non piace la mentalità russa. Ogni punto che Lei ha citato è completamente legittimo democraticamente. Non c’è un singolo elemento “autoritario”. Quindi non dobbiamo confonderci: anche se non piace la politica della Russia non si può negare che la Russia sia una democrazia liberale. Il Presidente Vladimir Putin accetta le regole democratiche del nostro sistema e le rispetta. Non ha mai violato una sola legge. Così la Russia è parte del campo democratico liberale e il modello da guerra fredda non serve a spiegare la crisi ucraina.
Quindi, come possiamo descrivere tale conflitto violento e sanguinoso?
Dugin: Abbiamo bisogno di una chiara analisi geopolitica e di civiltà. Dobbiamo accertare i fatti storici, anche se in questi giorni non sono in voga!
Che vuol dire?
Dugin: L’Ucraina di oggi è uno Stato che non è mai esistito nella storia. Si tratta di una nuova entità. Questa entità ha almeno due parti completamente diverse. Queste due parti hanno un’identità e una cultura diversa. C’è l’Ucraina occidentale, unita nella sua identità all’Europa orientale. La stragrande maggioranza delle persone che vivono in Ucraina occidentale si considera europea dell’Est. E tale identità si basa sul rifiuto completo di qualsiasi idea panslava con la Russia. I russi sono considerati nemici esistenziali. Possiamo dire così: odiano i russi, la cultura russa e, naturalmente, la politica russa. Ciò è una parte importante della loro identità.
Non ne siete irritato in quanto russo?
Dugin: (ride) Per nulla! Si tratta di una parte dell’identità. Non significa necessariamente che vogliono entrare in guerra contro di noi, ma non sono come noi. Dobbiamo rispettarlo. Guardate, gli statunitensi sono odiati da molti più popoli e l’accettano. Così, quando gli ucraini occidentali ci odiano, non è né male, né bene, è un fatto. Diciamo semplicemente accettiamolo. Non tutti ci amano!
Ma gli ucraini orientali sono russi quanto e anche più di Lei!
Dugin: Non così in fretta! La maggior parte delle persone che vivono nella parte orientale dell’Ucraina condivide una comune identità con il popolo russo, storica, di civiltà e geopolitica. L’Ucraina orientale è un Paese russo ed eurasiatico. Quindi ci sono due Ucraine. Lo vediamo assai chiaramente alle elezioni. La popolazione è divisa in ogni importante questione politica. Soprattutto quando si tratta delle relazioni con la Russia, siamo testimoni di come drammatico diventi il problema: una parte è assolutamente anti-russa, l’altra parte assolutamente filo-russa. Due diverse società, due Paesi diversi e due diverse identità storiche nazionali vivono in una sola entità.
Quindi la domanda è quale società domina l’altra?
Dugin: Questo è una parte importante della politica ucraina. Abbiamo le due parti e abbiamo la capitale Kiev. Ma a Kiev abbiamo entrambe le identità. Non è né la capitale dell’Ucraina occidentale né dell’Ucraina orientale. La capitale della parte occidentale è Lvov, la capitale della parte orientale è Kharkov. Kiev è la capitale di un’entità artificiale. Ciò è importante per capire il conflitto.
I media occidentali ed ucraini “nazionalisti” sarebbero fortemente in disaccordo con il termine “artificiale” per lo Stato ucraino.
Dugin: I fatti sono chiari. La creazione dello Stato di Ucraina nei confini attuali non è il risultato della Storia. Fu una decisione burocratica e amministrativa dell’Unione Sovietica. La Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina fu una delle 15 repubbliche dell’Unione Sovietica dal 1922 al 1991. In tutti questi 72 anni i confini della repubblica cambiarono spesso, con una parte significativa di quella che oggi è l’Ucraina occidentale annessa dall’Armata Rossa nel 1939, e con l’aggiunta della già russa Crimea, nel 1954.
Alcuni politici ed analisti dicono che la soluzione più semplice sarebbe la partizione dell’Ucraina in uno Stato orientale e uno occidentale.
Dugin: Non è così facile come potrebbe sembrare, perché avremmo problemi con le minoranze nazionali. Nella parte occidentale dell’Ucraina vivono molte persone che si considerano russe, oggi. Nella parte orientale vive una parte della popolazione che si considera ucraina occidentale. Vedete: una semplice partizione dello Stato non risolverebbe davvero il problema, ma ne creerebbe uno nuovo. Possiamo immaginare la separazione della Crimea, perché quella parte dell’Ucraina è territorio popolato solo da russi.
Perché sembra che l’Unione europea sia tanto interessata ad “importare” tutti questi problemi?
Dugin: Non è nell’interesse dell’alleanza europea, ma degli Stati Uniti. Si tratta di una campagna politica contro la Russia. L’invito di Bruxelles all’Ucraina di adesione all’occidente ha subito creato un conflitto con Mosca e un conflitto interno all’Ucraina. Ciò non sorprende per nulla chi conosce la società e la storia ucraina.
Alcuni politici tedeschi hanno detto di esser sorpresi dalle scene di guerra civile a Kiev…
Dugin: Questo la dice lunga sull’istruzione politica e storica dei vostri politici riguardo la crisi in Ucraina…
Ma il presidente ucraino Viktor Janukovich ha rifiutato l’invito occidentale.
Dugin: Certo. E’ stato eletto dal Sud filo-russo e non dall’occidente. Janukovich non può agire contro l’interesse e la volontà della sua base elettorale. Se avesse accettato l’invito dell’UE sarebbe stato considerato un traditore dai suoi elettori. I sostenitori di Janukovich vogliono l’integrazione con la Russia. Per dirla chiaramente: Janukovich ha semplicemente fatto ciò che gli era assai logico. Nessuna sorpresa, nessun miracolo. Semplicemente logica politica.
Vi è ora una alleanza delle opposizioni politicamente molto pluralista contro Janukovich: Questa alleanza comprende liberali, anarchici, comunisti, gruppi di destra, gay, anche nazionalisti e gruppi e teppisti neo-nazisti. Cosa tiene insieme tali diversi gruppi ed ideologie?
Dugin: Sono uniti dal solo odio contro la Russia. Janukovich è ai loro occhi un ascaro della Russia, amico di Putin e uomo dell’Oriente. Odiano tutto ciò che ha a che fare con la Russia. Questo odio li tiene insieme, questo è un blocco dell’odio. Per dirla chiaramente: l’odio è la loro ideologia politica. Non amano l’Unione europea o Bruxelles.
Quali sono i principali gruppi? Chi domina l’opposizione?
Dugin: Sono chiaramente i più violenti gruppi neo-nazisti del cosiddetto Euro-Maidan. Suscitano violenze e una situazione da guerra civile a Kiev.
I madia mainstream occidentali sostengono che il ruolo di tali gruppi estremisti è drammatizzato dai media filo-russi per diffamare l’intera alleanza dell’opposizione.
Dugin: Certo. Come vogliono giustificare che l’Unione europea e i governi europei sostengono neo-nazisti estremisti e razzisti oltre i confini dell’UE, mentre all’interno compiono azioni melodrammatiche e gravi anche contro i gruppi dell’estrema destra più moderata?
Ma come possono, per esempio, i gruppi gay e gruppi liberali di destra e di sinistra combattere a fianco dei neo-nazisti, noti per non essere per nulla gay friendly?
Dugin: Prima di tutto, tutti questi gruppi odiano la Russia e il presidente russo. Questo odio li rende compari. E i gruppi liberali di sinistra non sono meno estremisti dei gruppi neo-nazisti. Tendiamo a pensare che siano liberali, ma si sbaglia terribilmente. Soprattutto in Europa orientale e in Russia molto spesso le lobby omosessuali e gruppi ultranazionalisti e neonazisti sono alleati. Anche la lobby omosessuale ha idee assai estreme su come deformare, rieducare e influenzare la società. Non dobbiamo dimenticarlo. Le lobby gay-lesbiche non sono meno socialmente pericolose dei neo-nazisti.
Sappiamo che una tale alleanza è presente anche a Mosca. Il blogger liberale e candidato alla carica di sindaco di Mosca Aleksej Nawalnij fu supportato da una tale alleanza di organizzazioni per i diritti dei gay e di gruppi neo-nazisti.
Dugin: Esattamente. E questa coalizione filo-Nawalnij fu sostenuta anche dall’occidente. Il punto è che ciò non ha nulla a che fare con l’ideologia di tali gruppi. Non interessa all’occidente.
Che vuoi dire?
Dugin: Cosa accadrebbe se un’organizzazione neo-nazista sostenesse Putin in Russia o Janukovich in Ucraina?
L’UE avvierebbe un’enorme campagna politica sui media mainstream occidentali per sottolineare un tale scandalo.
Dugin: Esattamente. Quindi si tratta solo da quale parte stia un dato gruppo. Se il gruppo è contro Putin, contro Janukovich, contro la Russia, l’ideologia non è un problema. Se tale gruppo sostiene Putin, la Russia o Janukovich, l’ideologia diventa immediatamente un problema enorme. Si tratta solo del lato geopolitico cui appartiene il gruppo. Non è altro che geopolitica. E’ una buona lezione su ciò che accade in Ucraina. La lezione ci dice: la Geopolitica domina questi conflitti e nient’altro. Assistiamo a ciò anche in altri conflitti, in Siria, Libia, Egitto, Caucaso, Iraq, Iran…
Qualsiasi gruppo sia a favore dell’occidente è un gruppo di “buoni” senza badare se sia estremista?
Dugin: Sì e qualsiasi gruppo contro l’occidente, anche se laico e moderato, sarà definito “estremista” dalla propaganda occidentale. Tale approccio domina i campi di battaglia geopolitici di oggi. Puoi essere il combattente salafita più radicale e brutale, puoi odiare gli ebrei e mangiare organi umani di fronte a una telecamera, finché lotti per gli interessi occidentali contro il governo siriano sei un alleato rispettato e sostenuto dall’occidente. Quando si difende una società multi-religiosa, laica e moderata, tutti ideali occidentali, ma si ha una posizione contraria agli interessi occidentali, come il governo siriano, sei un nemico. Nessuno è interessato a ciò in cui credi, è solo il lato geopolitico scelto che è giusto o sbagliato per la potenza egemone occidentale.
Prof. Dugin, in particolare i gruppi di opposizione ucraina che si fanno chiamare “nazionalisti” sarebbero fortemente in disaccordo con Lei. Affermano: “Siamo contro la Russia e contro l’UE, abbiamo una terza posizione!” Ironicamente anche il combattente salafita in Siria avrebbe detto la stessa cosa: “odiamo gli americani tanto quanto il governo siriano“. C’è qualcosa di simile a una possibile terza posizione in questa guerra geopolitica di oggi?
Dugin: L’idea di avere una terza e indipendente posizione tra i due blocchi dominanti è molto comune. Ho avuto alcune interessanti interviste e colloqui con una figura di spicco della guerriglia separatista cecena. Mi confessò che in realtà credeva nella possibilità di una Cecenia islamica indipendente e libera. Ma più tardi capì che non c’era una “terza posizione”, nessuna possibilità. Capì che combatteva contro la Russia per l’occidente. Era uno strumento geopolitico dell’occidente, un ascaro della NATO sul campo di battaglia caucasico. La stessa brutta verità colpisce l’ucraino “nazionalista” e il combattente salafita arabo: sono ascari dell’occidente. E’ difficile accettarlo, perché a nessuno piace l’idea di essere l’utile idiota di Washington.
Per dirla chiaramente: la “terza posizione” è assolutamente impossibile?
Dugin: Oggi senz’altro. Ci sono una potenza terrestre e una marittima in geopolitica. La potenza terrestre oggi è la Russia, quella marittima Washington. Durante la seconda guerra mondiale la Germania cercò d’imporre una terza posizione. Tale tentativo si basava proprio su quegli errori politici di cui parliamo adesso. La Germania continuò la guerra contro la potenza marittima rappresentata dall’impero inglese, e contro la potenza terrestre rappresentato dalla Russia. Berlino combatté contro le principali forze globali e perse la guerra. Il finale fu la completa distruzione della Germania. Così, se neanche la forte e potente Germania dell’epoca non fu abbastanza forte per imporre la terza posizione, come gruppi molto più piccoli e deboli potrebbero farlo oggi? E’ impossibile, si tratta di un’illusione ridicola.
Chiunque affermi, oggi, di lottare per una “terza posizione” indipendente è in realtà un ascaro dell’occidente?
Dugin: Nella maggior parte dei casi, sì.
Mosca sembra essere molto passiva. La Russia non supporta alcun suo delegato nei Paesi dell’UE. Perché?
Dugin: La Russia non ha un’agenda imperialista. Mosca rispetta la sovranità e non interferisce nella politica interna di nessun altro Paese. Ed è una onesta e buona politica. Lo vediamo anche in Ucraina. Vediamo molti più politici dell’UE e addirittura politici e diplomatici degli USA recarsi a Kiev per sostenere l’opposizione, che politici russi sostenere Janukovich in Ucraina. Non dobbiamo dimenticare che la Russia non ha interessi egemonici in Europa, ma gli statunitensi sì. Francamente parlando, l’Unione europea non è un vero e proprio ente europeo, è un progetto transatlantico imperialista. Non serve gli interessi dei cittadini europei, ma dell’amministrazione di Washington. L’”Unione europea” è in realtà anti-europea ed “Euro-Maidan” è in realtà “anti-euro-Maidan”. I violenti neonazisti in Ucraina non sono “nazionalisti” o “patriottici” o “europei”, sono solo ascari degli USA. Lo stesso vale per i gruppi per i diritti degli omosessuali, le organizzazioni come FEMEN o i gruppi di protesta liberali di sinistra.
Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora
Maidan è un fronte anti-russo degli USA
gennaio 29, 2014
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FBII 29 gennaio 2014
L’attenzione di Washington è ora focalizzata sugli eventi in Ucraina. Per più di un mese cittadini ucraini si sono radunati a Piazza Indipendenza di Kiev per protestare contro il rinvio del Presidente Victor Janukovich della firma per l’accordo economico con l’UE. Tuttavia, gli Stati Uniti si sono da tempo preparati a una tale eventualità, fornendo all’opposizione ucraina fondi. Cerchiamo di capire, perché Washington ha bisogno di Maidan.

L’assistente del segretario di Stato USA Victoria Nuland è stata vista sul principale sito dell’opposizione di Kiev, Piazza Indipendenza, dove distribuiva panini e biscotti ai manifestanti ucraini. Il senatore statunitense John McCain ha incontrato i leader dell’opposizione ucraina a Kiev ed espresso sostegno ai manifestanti accampati per settimane nella capitale, una mossa che di sicuro irrita Mosca vedendola come ingerenza occidentale nel suo cortile di casa. McCain ha incontrato i leader dell’opposizione, l’ex-campione di pugilato Vitalij Klishko, l’ex-ministro dell’economia Arsenij Jatsenjuk e il nazionalista di estrema destra Oleg Tjanibog, che chiedono che il governo di Janukovich rassegni le dimissioni ed elezioni anticipate. L’ambasciatore Jeffrey Wright dice qualcosa sull’amicizia indissolubile tra i popoli nuovi arrivati e funzionari del dipartimento di Stato sono stati visti indossare spillette con i simboli di Maidan… Infatti, perché l’occidente dovrebbe soccorrere l’Ucraina? L’unica cosa che interessa alle capitali occidentali è impedire l’ulteriore ravvicinamento tra l’Ucraina e la Russia. Il paradigma offerto da Zbigniew Brzezinski è popolare tra i governanti occidentali. Ne
La Grande Scacchiera: la supremazia americana e i suoi imperativi geostrategici, scritto nel 1997, disse che senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un impero, mentre con l’Ucraina, comprata prima e soggiogata poi, si trasforma automaticamente in un impero… Secondo lui, il nuovo ordine mondiale sotto l’egemonia degli Stati Uniti fu creato contro la Russia e per frammentare la Russia. L’Ucraina è l’avamposto occidentale per impedire la ricreazione dell’Unione Sovietica. L’obiettivo principale dell’associazione dell’Ucraina con l’Unione europea non era il benessere della gente, ma perseguire la missione geopolitica d’indebolire la Russia. Non c’è da stupirsi che Brzezinski e membri del dipartimento di Stato siano stati invitati dal Senato degli Stati Uniti, dove pochi giorni fa si svolsero le audizioni parlamentari sugli eventi ucraini. Il Comitato per le relazioni estere del Senato era il motore di tali audizioni.
Le testimonianze dell’assistente del segretario Victoria Nuland e del viceassistente del segretario di Stato Tom Melia avevano i soliti cliché, “
Prima di tutto lasciatemi esprimere la nostra gratitudine a questa commissione e al Senato degli Stati Uniti per la sua leadership in Ucraina, e per l’eccellente rapporto di lavoro tra esecutivo e legislativo del governo su questo tema. Voglio anche ringraziare e lodare i senatori McCain e Murphy per il sostegno bipartisan dato direttamente al popolo dell’Ucraina nel fine settimana importante di dicembre, e per essersi impegnati con il Presidente Janukovich, il suo governo, l’opposizione, la comunità imprenditoriale e la società civile a sostegno di una soluzione pacifica, democratica, per uscire dalla crisi”, ecc. Nel loro insieme, le testimonianze di Nuland e Melia sembrano basarsi su una serie di ipotesi discutibili:
- Interessi nazionali chiari e identificabili statunitensi sono in gioco nel confronto attualmente in atto a piazza Maidan.
- Senza il sostegno finanziario e morale degli Stati Uniti l’opposizione al regime di Janukovich cesserebbe.
- La Russia, offrendo al governo ucraino un pacchetto di salvataggio più attraente di quello proposto dall’Unione Europea (UE) e dal FMI, ha agito in malafede.
- I manifestanti di Maidan parlano per tutto il popolo ucraino, la stragrande maggioranza del quale desidera entrare nell’UE.
- L’esito della crisi attuale avrà un preciso effetto sul futuro sviluppo della Russia, se l’Ucraina sceglie un futuro europeo, e così anche (un giorno) farà la Russia.
Le domande e le risposte dell’audizione lasciano pochi dubbi sul fatto che tali ipotesi siano condivise dal presidente della commissione Robert Menendez, dal senatore Bob Corker e non sorprende, anche dai senatori Chris Murphy e John McCain, freschi del loro recente viaggio a Kiev. Meno si parla delle risposte di McCain, meglio è. Dopo aver affermato che l’Ucraina “
è un Paese che vuole essere europeo, non russo” e che il popolo ucraino “grida il nostro aiuto“, ha proseguito bizzarramente dicendo non una, ma due volte, che la Russia impone l’”embargo” sul cioccolato dell’Ucraina. Tale embargo al cioccolato sembra davvero suscitare la sua indignazione. Da parte loro, Menendez e Corker sono stati più sul punto. Menendez ha minacciato sanzioni contro il regime di Janukovich e si domandava perché l’amministrazione non avesse già denunciato la Russia al WTO. Per prima cosa Corker ha sgridato il dipartimento di Stato per non aver aggiunto nomi alla lista Magnitskij che, ha detto, ne avrebbe “diritto”. Eppure ha chiarito che concorda con i testimoni secondo cui “
l’Ucraina è un Paese incredibilmente importante” e l’esito della crisi attuale “
potrebbe plasmare la politica interna della Russia stessa“. In nessun momento vi fu la prova, nelle domande agli intervistati e nelle risposte dei senatori, che si pensasse se fosse appropriato per il governo degli Stati Uniti farsi sempre più profondamente coinvolgere nella vita politica di un Stato sovrano al crocevia del mondo. Nessun dubbio è stato espresso sul fatto che le scelte di un governo democraticamente eletto sui suoi partner commerciali, le elezioni e la sicurezza debbano essere oggetto del controllo statunitense. Come il professore emerito di Princeton Stephen F. Cohen ha incisivamente sottolineato, “
Non è democratico rovesciare un governo democraticamente eletto. E’ l’opposto“. Né ci fu alcun riconoscimento che l’Ucraina sia profondamente e quasi equamente divisa tra occidentalisti nei centri urbani come Kiev e Lvov, e russofili del Sud e dell’Est, ignorando che Russia, Ucraina e Bielorussia abbiano radici comuni risalenti alla Rus’ di Kiev nel 9° secolo, come dice
The American Conservative.
Melia è andato oltre (ex-portavoce di Nuland nel dipartimento di Stato, leggermente più sfumato), affermando che l’attenzione del comitato sull’Ucraina è giustificata non solo perché si trova “al centro dell’Europa”, ma perché è anche un “prezioso” e ” importante partner” degli Stati Uniti. Se tali affermazioni non aggrottarono le sopracciglia, i verdoni che cita certamente dovrebbero farlo. Secondo Melia, dalla dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991, gli Stati Uniti hanno speso, il termine che Melia ha utilizzato è stato “investito”, oltre 5 miliardi dollari per l’assistenza all’Ucraina, di cui 815 milioni dollari per il finanziamento della democrazia e i programmi di scambio. Inoltre, dal 2009 l’amministrazione Obama ha inviato 184 milioni di dollari per programmi apparentemente volti a sostenere società civile, diritti umani, buon governo e Stato di diritto in Ucraina. E’ logico supporre che per Euromaidan oggi si spenda quei soldi. Un enorme palco con illuminazione e acustica, attrezzature per militanti, pasti caldi, migliaia di posti letto, riscaldamento, apparecchiature mediche, internet ad alta velocità, indumenti caldi, autobus per i militanti diretti ad assaltare le amministrazioni di altre regioni… Ovviamente, una sola giornata di azioni a Maidan costa centinaia di migliaia di dollari. A sostegno di tale versione, in riferimento ai servizi di sicurezza ucraini, lo schema dettagliato dei finanziamenti a Maidan è stato pubblicato su Internet: “
Ogni caposquadra della resistenza ha avuto promessa una ricompensa in denaro. 200 dollari al giorno per ogni combattente attivo e altri 500 se il gruppo è di oltre 10 persone. I coordinatori vengono pagati almeno 2000 dollari al giorno per alimentare gli scontri del gruppo controllato, eseguendo azioni offensive contro agenti di polizia e rappresentanti delle autorità pubbliche. L’ambasciata statunitense a Kiev ha ricevuto contanti. Combattenti attivi e leader ricevono i pagamenti sui loro conti personali.” Le informazioni sulla gestione dei conti bancari dei militanti vengono sempre pubblicate su Internet.
Da 16 anni membro del Congresso degli Stati Uniti, due volte candidato presidenziale degli Stati Uniti, Dennis J. Kucinich rivela in profondità i piani statunitensi: “
Mentre il piano dell’UE dell’accordo di associazione viene spacciato come vantaggiosamente economico per i cittadini ucraini, in realtà appare come cavallo di Troia della NATO: una massiccia espansione della posizione militare della NATO nella regione. Inoltre, l’accordo avviene sotto la copertura di nebulose promesse economiche a una popolazione assediata dalla fame di salari migliori. In un Paese dove il salario minimo mensile medio è pari a circa 150 dollari, non è difficile capire perché gli ucraini siano in piazza. Non vogliono essere nell’orbita della Russia, né vogliono essere pedine della NATO. Ma la situazione degli ucraini viene sfruttata per strappare un nuovo accordo militare con il pretesto della riforma economica? Per la NATO, l’obiettivo è l’espansione. Il premio è l’accesso a un Paese che condivide una frontiera di 1426 miglia con la Russia. La mappa geopolitica sarebbe drammaticamente rimodellata dall’accordo, con l’Ucraina come nuovo fronte della difesa missilistica occidentale alle porte della Russia. Qualora l’accordo nucleare degli Stati Uniti con l’Iran andasse a pezzi, l’Ucraina potrebbe essere impiegata nelle grandi dispute regionali. Quando la spesa militare aumenta, la spesa interna crolla. Vincitore difficilmente sarà il popolo ucraino, ma la gente di Lockheed-Martin, Northrop Grumman, Boeing e altri interessi della difesa. Gli ucraini non sono in Piazza Indipendenza per la NATO. Eppure, il vantaggio della NATO è chiaro. Meno chiaro è se gli ucraini avranno i benefici economici che cercano.”
“
Il governo ucraino ha preso la decisione giusta di rimanere fuori dall’UE. Gli interessi economici dell’Ucraina sono con la Russia, non con l’UE. Questo è del tutto evidente“, dice l’economista statunitense e editorialista di Creators Syndicate Paul Craig Roberts. “
L’UE vuole che l’Ucraina aderisca in modo che venga saccheggiata come Lettonia, Grecia, Spagna, Italia, Irlanda e Portogallo. Gli Stati Uniti vogliono che l’Ucraina aderisca in modo che possa diventare un altro posto per le basi missilistiche di Washington contro la Russia.” “Se sapessimo a pieno ciò che succede, probabilmente noi, gli Stati Uniti, perché questa è una sorta di guerra per procura, siamo prossimi alla guerra con la Russia, come durante la crisi dei missili di Cuba“, ha detto Stephen F. Cohen, professore emerito presso New York University e Princteon University. Per quanto Washington nasconderà il suo coinvolgimento negli scontri a Kiev? Quali potrebbero essere i prossimi passi degli Stati Uniti? Il timore che truppe statunitensi si piazzino nel territorio nazionale dell’Ucraina potrebbe provocare un’altra guerra, essendovi la condizione in cui potrebbe aversi un’altra sanguinosa battaglia per il suo controllo. Il timore di un tale passo da parte del governo degli Stati Uniti è stato scatenato dalla dichiarazione di John Kerry a Davos, in Svizzera.
Kerry aveva chiarito che il mito secondo cui gli Stati Uniti hanno mutato politica estera viene smascherato. Ha aggiunto che gli USA non recedono dalla politica d’impegnarsi nelle zone dove vi siano violenze ed escalation delle violazioni dei diritti umani. Kerry è stato diretto rispondendo che l’assenza di vistosi movimenti di truppe o mancanza di risposte minacciose non indica disimpegno degli USA. Gli Stati Uniti valutano una serie di opzioni in risposta alla repressione dell’Ucraina delle proteste dell’opposizione, comprese eventuali sanzioni, ha detto il dipartimento di Stato. A dicembre il capo del Pentagono Chuck Hagel ha avvertito Kiev contro l’uso della forza militare contro i manifestanti, “in qualsiasi modo”, e ha esortato moderazione. Diverse petizioni che chiedono l’invio di forze di pace statunitensi in Ucraina vengono registrate sul sito web della Casa Bianca. Anche se tale idea ha ancora relativamente pochi voti, diverse migliaia, non si può eliminare completamente la possibilità dell’azione umanitaria che coinvolga l’esercito statunitense in Ucraina.
Jugoslavia, Libia, Siria… Washington utilizza in genere lo scenario dell’intervento per fasi. Per primo il capo dello Stato viene sottoposto ad ostruzione internazionale. Poi, se ciò fallisce, il Paese subisce l’embargo economico. Assieme a ciò si suscita il caos nel suo territorio. Infine, la NATO propone l’invio delle forze di pace per porre fine alle sofferenze dei cittadini…
Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora
La Transcarpazia minacciata d’invasione
gennaio 29, 2014
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Vladislav Gulevich
Strategic Culture Foundation 28/01/2014

Secondo i media rumeni, Bucarest dovrà garantire la sicurezza dei romeni in Bucovina e Odessa. Se la situazione in Ucraina peggiora, dovrà schierare truppe nelle zone di loro residenza. Anche gli ungheresi transcarpati sollevano la questione della loro sicurezza. Budapest avrebbe pianificato l’invio di truppe in Transcarpazia (
Zakarpatie). Euromaidan ha un evidente e radicale vuoto in Transcarpazia, Transcarpazia e Galizia (Galitsija o Galichina) furono divise molto tempo fa. Anche durante e dopo la prima guerra mondiale, i cittadini ungheresi della Rutenia, o Rus Uhorská, nome storico della Transcarpazia, subirono sempre tentativi di ucranizzazione. Nel 1920-1938 la Rutenia ungherese apparteneva alla Cecoslovacchia. Praga cercò di ucranizzare i ruteni (o rusyn), utilizzando i nazionalisti galiziani. La Transcarpazia non fu mai associata all’Ucraina fino al 1939. Il pupazzo di Hitler, Avgustyn Voloshyn, creò lo Stato-fantoccio dell’Ucraina carpatica avviando il processo di ucrainizzazione. Letteralmente due giorni dopo la creazione dello Stato-fantoccio, Hitler consegnò la Transcarpazia (Ucraina carpatica) all’alleato ungherese Miklós Horthy. Nel 2002, con decreto dell’allora presidente ucraino Leonid Kuchma, Avgustyn Voloshyn venne insignito del titolo di Eroe dell’Ucraina e ottene l’Ordine di Stato postumo. Fu un affronto aperto ai ruteni transcarpatici che ricordano il campo di concentramento di Dumen, creato per coloro che non volevano ucranizzarsi difendendo il diritto di rimanere rusyn, anche sotto la minaccia di morte.
Mentre Euromaidan a Kiev infuria, dei tentativi vengono intrapresi per diffondere disordini in altre regioni dell’Ucraina. La Transcarpazia ha imposto blocchi al confine con la Galizia per tenere lontano gli estremisti. Alcuni chiedono il ritorno al nome storico della regione, Rus dei Precarpazi.
La situazione, già abbastanza complicata, viene artificialmente aggravata dall’influenza degli eventi di Maidan. L’Ungheria ha la tentazione di approfittare di ciò che succede e, infine, annettersi la Transcarpazia (Rutenia ungherese), territorio che ha sempre considerato proprio, allontanando contemporaneamente l’Ucraina. L’etnia ungherese rappresenta la maggioranza della popolazione nelle zone di confine della Transcarpazia. La terra fu sottoposta all’amministrazione fiduciaria di Budapest per molto tempo. Storicamente le relazioni tra ruteni (rusyn uhorská) e ungheresi furono sempre migliori, per esempio, dei galiziani con i russi e i polacchi. Sotto il governo ungherese, i ruteni avevano le loro scuole (di cui sono privi ora che fanno parte dell’Ucraina democratica), furono riconosciuti come popolo dalla determinata nazionalità. Ciò non significa che la storia delle relazioni tra ruteni e ungheresi fosse un letto di rose. La “magiarizzazione” fu un elemento della politica del governo ungherese verso i popoli slavi (ruteni e slovacchi). Di conseguenza, uno strato speciale emerse tra i ruteni, i magiaroni. Queste persone hanno sangue ruteno ma animo magiaro. Gli ungheresi credevano che fosse vantaggioso se ai ruteni venisse impedito di divenire ucraini e di avvicinarsi alla Russia. L’Ungheria ha sempre sottolineato la parola uhorská (ungherese) per rivendicare la Rus Uhorská allo Stato ungherese.
Le minacce poste da Maidan sono gravi, perché creano i presupposti per la divisione dell’Ucraina, in particolare spinge Budapest a proporre la restaurazione della giustizia storica, rendendo la Rus Uhorská di nuovo parte dell’Ungheria. Quanto è imminente la minaccia dell’invasione ungherese? La Transcarpazia è un importante snodo del trasporto di petrolio e gas, il controllo della regione rende possibile rimodellare l’intera struttura delle esportazioni energetiche della Russia verso l’Europa. La posta in gioco è alta. Le condizioni sono estremamente favorevoli: le forze dell’ordine ucraine sono parzialmente paralizzate, le contraddizioni tra le regioni occidentale e del sud-est dell’Ucraina sono esacerbate al massimo, Kiev è apertamente troppo prudente e i radicali hanno il sostegno di Bruxelles e Washington. L’Ungheria dovrà aspettare molto prima che si verifichi un’altra occasione come questa. Il Paese è membro della NATO e tutte le operazioni di “
peacemaking” (il tipo di azione da intraprendere in caso si decidesse il “salvataggio” degli ungheresi transcarpati) sarebbero condotte di concerto con gli alleati. Washington direbbe di sì nel caso in cui il Presidente Janukovich non cedesse alle proteste di piazza e continuasse la politica volta ad avvicinarsi all’Unione doganale dopo aver sospeso l’accordo di associazione con l’Unione europea? L’occidente è abbastanza risoluto a ricorrere a misure estreme, come la divisione dell’Ucraina, per esempio, per impedire l’insorgere di un polo slavo oriente (Mosca-Minsk-Kiev)? In questo caso convertirebbe l’Ucraina in una sorta di zona cuscinetto per tenere lontano l’Eurasia dall’Unione europea e minare il processo d’integrazione dello spazio post-sovietico. Non ci sono risposte nette e chiare a tali domande, al momento, ma la destabilizzazione dell’Ucraina fa totalmente parte dell’ordine del giorno. L’Ucraina occidentale è perfettamente adatta nel diventare una zona cuscinetto, soprattutto se la Rus Uhorská, la regione più filo-Russia dell’Ucraina occidentale, venisse staccata e annessa all’Ungheria. In tale caso, un nuovo soggetto politico e territoriale dalla forte contaminazione ideologica russofoba emergerebbe nel cuore dell’Europa. Budapest dovrà solo continuare la politica d’istruzione degli ungheresi russi, “
Magyar Orosz”, integrandoli nello spazio culturale e politico ungherese. In teoria, l’ipotetica adesione della Transcarpazia all’Ungheria sarebbe un grande passo dell’espansione della NATO verso Est. E’ un piccolo pezzo di terra dalla grande importanza geopolitica. Il vantaggio strategico nell’esercitare il controllo su questo territorio è immenso.
I rusyn carpati non staranno fermi, ricordandosi sempre le radici russe vedranno la possibilità di sopravvivere solo nell’ambito della civiltà russa. Se gli ungheresi oscillano verso Budapest, allora la maggior parte dei rusyn si volgerà verso Mosca e Kiev sperando in un’alleanza. Vi sono già voci che chiedono che la Transcarpazia scelga Kiev nel caso in cui l’Ucraina si divida…
La ripubblicazione è gradita in riferimento al giornale on-line della
Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora
Colombia, CIA e oltre dieci anni di bugie
gennaio 28, 2014
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Réseau International 28 gennaio 2014
Al momento del rilascio di Ingrid Betancourt, molto fu detto dai media, ma in realtà nulla di essenziale. La storia, ricca di colpi di scena e raccontata come un romanzo, era destinata principalmente a nascondere l’essenziale e Sarkozy, sempre opportunista, colse l’occasione per guadagnare qualche punto. Come di consueto, l’opinione pubblica francese gli diede il merito di tutto. Come vedrete in questo articolo, il suo unico ruolo fu andare a prendere Ingrid Betancourt all’aeroporto, una volta finito tutto. Ma c’era un’equazione inevitabile. Da un lato i sequestratori delle FARC, che detenevano anche degli agenti della CIA, e dall’altro il governo colombiano di Uribe, uno dei più forti alleati degli Stati Uniti. Come alleato potrebbe anche rientrarvi Israele (anch’esso trovatosi, per coincidenza, in tale storia). Questa sola ragione dovrebbe portare a ridiscutere tutto ciò che viene detto delle FARC dalla solita propaganda di Washington. Ma allora, se i guerriglieri non sono i cattivi che vogliono farci credere, chi sono gli ostaggi? Degli agenti della CIA sappiamo. Ma Ingrid Betancourt come finì in quel pasticcio? Cosa rappresenta questo trio Colombia-FARC-USA? Ingrid Betancourt chi è davvero? Sarebbe piaciuto che i media al momento del suo rilascio, si facessero queste domande. Si può sognare?
Colombia, le rivelazioni del Washington Post sul ruolo della CIA nel conflitto colombiano illumina di luce cruda la saga mediatica di Ingrid Betancourt e la versione ufficiale della sua liberazione, il 2 luglio 2008. Prima di tutte le informazioni chiariscono che l’obiettivo primario dell’operazione “Scacco matto” era infatti la liberazione dei tre ufficiali statunitensi e non di Ingrid Betancourt. Ma la copertura mediatica del conflitto in Colombia tra il 2002 e il 2008, nei media francesi e francofoni, si concentrava eccessivamente sulla sola Ingrid Betancourt. Tale corso contribuì a demonizzare le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), mentre taceva le atrocità e la smobilitazione di facciata dei paramilitari. Peggio ancora: il nome di Ingrid Betancourt divenne l’albero che nascose la foresta del vero problema dei prigionieri della guerriglia in generale, e della nuova dimensione geopolitica della loro situazione, quando i tre agenti statunitensi erano detenuti dalle FARC. Ricordate anche che tale versione made in CIA venne usata nei quattro mesi elettorali del 2008 negli Stati Uniti, e che di fatto il candidato repubblicano McCain si recò in visita ufficiale in Colombia l’1-2 luglio. Ma il Washington Post non ci torna. Purtroppo, vorremmo capire l’esatto ruolo del candidato repubblicano in tale storia. Ufficialmente, la sua presenza in Colombia fu giustificata dai negoziati sull’accordo di libero scambio tra Bogotà e Washington, la sua presenza nel Paese a momento di ‘Scacco matto’ era una felice coincidenza, come implica il
Boston Herald del 3 luglio: “
Il senatore John McCain (informato del salvataggio degli ostaggi durante la sua visita la notte prima dell’operazione, fu informato del successo poco dopo la sua partenza) supportava l’accordo commerciale“. Potrebbe essere il momento di chiedere ulteriori spiegazioni al diretto interessato.
Inoltre, non solo la CIA era al comando, ma un altro attore diede una mano a tale operazione il cui successo ebbe il prezzo, va ricordato, dell’abuso della Croce Rossa Internazionale: si tratta della
Global CST, una società privata israeliana specializzata in questioni militari. Anche su questo punto le fonti del
Washington Post rimangono silenziose. Ma la questione della collaborazione tra la CIA e la società israeliana vale una domanda: quest’ultima, ansiosa di correggere la storia ufficiale, disse dopo la liberazione dei prigionieri, al quotidiano
Haaretz, del contributo israeliano all’operazione “Entebbe colombiana”. Il suo direttore, Israel Ziv, un ex-ufficiale dell’esercito israeliano, dichiarò: “
Gli israeliani forse non hanno preso parte al salvataggio (dei prigionieri), ma contribuirono a pianificare operazioni e strategie e ad usare fonti d’intelligence.” Quindi come i compiti furono davvero suddivisi tra statunitensi, israeliani e colombiani?
Ultima domanda non affrontata dal Washington Post: come CIA e Bogota sfruttarono e manipolarono l’andirivieni dei delegati svizzero e francese Jean Pierre Gontard e Noel Saez? All’inizio del 2009, quest’ultimo espresse amarezza nel libro L’emissario. Swissinfo riferì poi: “
A proposito dell’operazione rivendicata da Bogota come colombiana al 100%, Noel Saez era convinto che fu possibile solo grazie alla partecipazione degli Stati Uniti e al tradimento del capo guerrigliero che sorvegliava l’ex-candidata alla presidenza colombiana. Se “il 100% colombiana” è immediatamente emerso come una vanteria di Bogotà, ci chiediamo come Svizzera e Francia poterono sottovalutare il peso reale di Washington e della CIA nel conflitto e in tale storia.

Laurence Mazure, giornalista freelance
Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora
Turchia e Iran: i legami che li legano
gennaio 27, 2014
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Mahdi Darius Nazemroaya
Global Research, 23 gennaio 2014
Mentre la Turchia cerca di armonizzarsi con l’Iran e la Russia, una lotta interna si sviluppa tra il Premier e i gulenisti, che possono minacciare il processo. Se si deve credere alla leadership dell’AKP, sarebbero parte di una cospirazione straniera per abbatterla.

Sul conflitto in Siria, il governo del primo ministro dell’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo) Recep Tayyip Erdogan di Ankara è dall’altra parte della barricata rispetto Teheran e Mosca, ma la profondità dei rapporti turchi con l’Iran e la Russia va oltre ciò. La Turchia è legata non solo all’Iran e alla Russia geograficamente e per la secolare storia comune, ma condividono anche rapporti commerciali, culturali, linguistici ed etnici. Sebbene le politiche e relazioni politiche turche con l’Iran e la Russia sono soggette a fluttuazioni, i numerosi legami che legano la società turca ad essi non possono essere annullati, compresa la realtà dei loro legami economici. Teheran e Mosca sono due dei più importanti partner commerciali ed energetici della Turchia. Oltre alla Germania, in termini di esportazioni ed importazioni turche, il volume commerciale con Iran e Russia è pari, a titolo di confronto, a tutti i rapporti commerciali di Ankara con gli altri Paesi.
Comprendendo l’importanza dei rapporti economici turchi con l’Iran, è importante notare che le sanzioni unilaterali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea previste contro l’Iran hanno danneggiato l’economia turca. I turchi hanno bisogno dell’energia iraniana, gas naturale e petrolio. Quando il governo degli Stati Uniti chiese ad Ankara di ridurre le importazioni energetiche dall’Iran, fondamentalmente si aspettava che il governo turco danneggiasse consapevolmente l’economia turca per l’agenda di Washington. Anche sotto le sanzioni degli USA contro l’Iran, come forma manipolazione economica e bellica, le imprese turche e il governo dell’AKP fecero del loro meglio per mantenere i rapporti economici ed energetici con l’Iran. Ciò fu fatto apertamente e segretamente. La Turchia agì anche da canale segreto dell’Iran nell’eludere le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Tra le altre cose, lo scandalo sulla corruzione che coinvolge il capo della statale
Halk Bankasi (Banca Popolare), o
Halkbank, emerso il 17 dicembre 2013, è un riflesso della continuazione delle attività economiche e commerciali tra la Turchia e l’Iran. Le vendite dell’Iran sono state discretamente facilitate dalla banca turca attraverso l’acquisto di oro consegnato a Teheran in pagamento al posto delle valute, dopo che a Teheran fu impedito l’uso del sistema internazionale di trasferimento del denaro SWIFT, nel marzo 2012.
Halkbank sostiene che le operazioni erano legali e che nessuna norma impediva la negoziazione di metalli preziosi con l’Iran fino a luglio 2013, cessandole il 10 giugno 2013.
La lotta per il potere in Turchia emerse. Lo scandalo della
Halkbank n’è un sottocomplotto e sintomo. Non solo le recenti indagini sulla concussione riflettono la diffusa corruzione del governo in Turchia, ma illumina il braccio di ferro nell’AKP e, più in generale, nell’élite turca, nel dirigere la Repubblica di Turchia.
Neo-ottomanismo: l’inverno della politica estera turca
Dal 2011, il danno economico alla Turchia causato dalle sanzioni contro l’Iran s’è aggravato con gli errori di calcolo e gli incidenti interni turchi. In gran parte, tali errori di calcolo furono il risultato della metamorfosi della politica estera del ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, dalla politica estera ‘zero problemi” a quella più aggressiva ‘neo-ottomana’. I politici turchi credevano che la cosiddetta primavera araba avrebbe fatto di Ankara un’indiscussa potenza regionale dal Marocco all’Iraq. Tali punti di vista turchi furono anche incoraggiati dagli Stati Uniti e dall’UE, promuovendo il cosiddetto ‘modello turco’ presso gli arabi, che con il supporto del governo dell’AKP, passava dalla politica di ‘zero problemi’ alla ricerca del sogno neo-ottomano dell’incontrastata supremazia economica e politica turca sul mondo arabo. Attraverso la sua impresa neo-ottomana, Ankara si allontanò dall’asse Ankara-Damasco-Teheran, che andava formandosi e compiva progressi in Libia, la Siria, Iraq e Libano. Una specie d’inverno s’impose ad Ankara sugli affari esteri. Le relazioni turche alla fine s’inasprirono con quasi tutti i Paesi confinanti e si ebbero rapporti gelati con Teheran e il Cremlino.
La politica estera neo-ottomana fu avviata con il sostegno del governo turco alla guerra e alle operazioni di cambiamento di regime della NATO a Tripoli, che infine interruppe il commercio turco con Libia. Anche se il governo turco fingeva di essere contro la guerra, Ankara non pose alcun veto ai piani di guerra della NATO al Consiglio del Nord Atlantico a Bruxelles. Invece la Turchia sostenne la n
o-fly zone imposta dalla NATO, partecipando attivamente all’embargo navale sulle coste libiche, presidiando l’aeroporto di Bengasi come autorità provvisoria della NATO e aiutando le forze anti-governative libiche in diversi modi. In conseguenza delle azioni del governo turco, i rapporti economici turchi con la Libia non si ripresero più dalla guerra della NATO nel 2011, per via dei danni e dell’instabilità dell’economia libica. Gli avvenimenti in Libia furono seguiti dalla sospensione del commercio turco con la Siria, un altro importante partner commerciale. L’interruzione del commercio con la Siria comportò il sostegno sconsiderato di Erdogan al cambio di regime a Damasco. Per tutto il tempo, le relazioni della Turchia con l’Iraq, altro importante partner commerciale turco, degenerarono per via della prepotenza ed arroganza di Erdogan e dell’AKP. Ankara riteneva che l’influenza iraniana nel Levante e Mesopotamia verrebbe sostituita dall’influenza turca, continuando a spingere i suoi accoliti a rovesciare i governi di Damasco e Baghdad. Anche quando il governo dell’AKP vide che la formidabile alleanza eurasiatica formata da Russia, Iran e Cina non mollava Damasco davanti l’insurrezione antigovernativa sostenuta da Turchia e alleati della NATO e del GCC, Erdogan continua il suo corso contrario a Damasco, invece di cercare d’invertire la disastrosa politica in Siria di Ankara. A parte il danno economico che l’AKP infligge alla Turchia, l’instabilità che suscita in Siria addestrando, ‘armando e finanziando gli insorti in Siria, comincia ad avere conseguenze politiche e di sicurezza anche in Turchia.
Mentre l’economia turca inizia a perdere colpi, le tensioni politiche interne montano e la disparità causata dalle politiche economiche neoliberiste dell’AKP si approfondisce mentre l’AKP agisce sempre più in modo autoritario nel proteggere la propria autorità. In una certa misura, la protesta del Parco Gezi esplosa da Istanbul alla Turchia, nel 2013, è un riflesso dell’avvio di tali tensioni interne.
Articolo originariamente pubblicato su Russia Today, 20 gennaio 2014
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Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora