Un anno d’oro, ma anche no
Il 2016 è stato, in un certo senso, anche l’anno dell’oro, ma a due fasi. Nel primo trimestre, complici le tensioni geo-politiche in corso, i prezzi del metallo salgono del 16%, segnando il migliore risultato del periodo dal 1986. Ma dopo la Brexit, le quotazioni esplodono fino a ridosso dei 1.370 dollari l’oncia, guadagnando da inizio 2016 quasi il 30%. Il ripiegamento arriva nelle ultime settimane, come meglio vedremo in seguito. Con la vittoria di Donald Trump alle elezioni USA e la prospettiva di una politica monetaria USA più restrittiva, i prezzi si schiantano nell’attuale range di 1.130-1.150 dollari, riducendo i guadagni da inizio anno nell’ordine del 7%.
Trump e petrolio
E arriviamo all’altro grande shock politico: Donald Trump eletto presidente USA. Contrariamente a tutti i sondaggi, il tycoon repubblicano batte la democratica Hillary Clinton, l’8 novembre scorso. A differenza delle previsioni, però, i mercati finanziari non solo non reagiscono male, ma danno vita al già ribattezzato “trade Trump”: boom di Wall Street, dove tutti e tre i principali indici segnano nuovi record storici e il Dow Jones sfiora i 20.000 punti; crollo delle obbligazioni e dei titoli di stato, a seguito di una maggiore propensione al rischio sul mercato e del surriscaldamento delle aspettative d’inflazione (“reflation”) per le promesse di politiche pro-crescita del prossimo inquilino alla Casa Bianca. (Leggi anche: Trumpflation già costata 1.000 miliardi)
Se il 2016 iniziava con il crollo delle quotazioni petrolifere, l’accordo OPEC del 30 novembre scorso, con il quale i 14 membri del cartello hanno deciso di tagliare 1,2 milioni di barili al giorno di offerta complessiva, le rilancia ai 50-55 dollari delle ultime settimane. In più, altri 11 produttori esterni, tra cui la Russia, si sono uniti per contribuire a tagliare la loro produzione di circa 540.000 barili al giorno.