Intervenendo a una trasmissione mattutina, qualche giorno fa il presidente di FABI (Federazione autonoma bancari italiani), Fabio Sileoni, ha plaudito all’innalzamento del tetto al contante a 5.000 euro. Egli ha sostenuto che nelle cassette di sicurezza presso le banche italiane sarebbero nascosti capitali per 200 miliardi di euro. Rispetto alle stime di 150 miliardi nel 2016 dalla Procura di Milano, ha aggiunto, è verosimile che vi sia stato un aumento nell’ordine dei 50 miliardi in 5-6 anni.
Come “ripulire” i capitali nascosti
Secondo Sileoni, quei capitali potrebbero in parte adesso uscire con la minore stretta sui contanti.
Dinnanzi a sé lo stato italiano ha due scelte: fingere un moralismo di facciata e impedire che le cassette di sicurezza si svuotino, oppure guardare in faccia la realtà e accettare che quel denaro torni utile all’economia italiana. Come? Immaginate di avere accumulato una ricchezza per 1 milione di euro tramite attività illecite e in nero. Non riuscite a portare fuori quel denaro dalle cassette di sicurezza in cui lo avete custodito anni fa. Poi, un giorno una legge dello stato vi dice: “se portate allo scoperto i capitali nascosti, non vi faremo pagare un solo euro di sanzioni e né vi sequestreremo alcunché. Anzi, vi garantiamo che sull’origine di quel denaro non potranno neppure essere effettuate indagini giudiziarie”.
Insomma, uno scudo totale. Già, ma lo stato vi chiederà un favore: “fuori i soldi dalle cassette di sicurezza, ma in cambio dovranno essere investiti in titoli di stato a lungo termine e con tassi d’interesse nettamente sotto i livelli di mercato”.
Cassette di sicurezza vuote, casse dello stato piene
I cittadini potrebbero indignarsi per una soluzione di questo tipo. Ma come, lo stato offre a presunti truffatori, evasori fiscali o peggio di investire lucrando sul denaro accumulato tramite illeciti o in nero? In realtà, le cose andrebbero diversamente. Anzitutto, se fino a dieci punti di PIL fossero messi a disposizione dello stato, il beneficio che ne trarremmo tutti noi contribuenti sarebbe alto. Le emissioni di debito si ridurrebbero sul mercato e il costo pure.
I titoli sarebbero sottoscritti a condizioni penalizzanti. Ad esempio, se oggi un BTp a 10 anni offre il 3,80%, lo stato potrebbe emettere il bond a un tasso dell’1-2% al massimo. In questo modo, chi ha portato fuori dalle cassette di sicurezza il proprio denaro, subirebbe una perdita. Investirebbe alla luce del sole, ma guadagnando molto meno di un comune investitore. Egli otterrebbe la liquidità o alla scadenza dopo numerosi anni o anche subito, ma dovendo rivendere sul mercato a sconto i titoli sottoscritti.
In effetti, il mercato prezzerebbe meno del suo valore nominale un bond con cedola molto più bassa del rendimento in vigore il quel momento. Per ipotesi, un capitale di 100.000 euro sarebbe rivenduto per 80-90.000 euro. La differenza dei 10-20.000 euro equivarrà alla perdita che il titolare del denaro nascosto nelle cassette di sicurezza subirebbe per ottenere subito la liquidità portata allo scoperto. Questa sarà dopodiché libera di fluire nell’economia formale a beneficio del sistema. Nel frattempo, lo stato ha potuto rifinanziarsi a costi nettamente più bassi di quanto avrebbe sostenuto rivolgendosi agli investitori individuali e istituzionali.