Il 2021 è stato un anno particolarmente positivo per l’Italia. Abbiamo portato a casa gli europei di calcio, vinto nei 100 metri piani, conquistato l’Eurofestival e italiano è stato l'”Uomo dell’anno” (Mario Draghi) per l’Economist. Nel frattempo, l’economia italiana dovrebbe essere cresciuta di oltre il 6%, forse del 6,2-6,3%. Dodici mesi fa, stimavamo +4,5% e ci sembrava persino un obiettivo ambizioso. Entro la prima parte del 2022, il nostro PIL dovrebbe avere cancellato le perdite accusate con la pandemia, portandosi sopra i livelli del 2019.
Sembra che tutto stia andando per il verso giusto. O no? Dietro le cifre passate, la realtà appare molto meno entusiasmante. Alla fine del 2021, l’economia italiana restava di oltre tre punti percentuali sotto i livelli del 2019, quando a sua volta stava a -4% rispetto al 2007. In altre parole, ancora siamo circa sette punti e mezzo sotto i livelli di ricchezza raggiunti ben quindici anni fa. Ma questo è il passato, direte. Se non fosse che il 2022 si apre con un petrolio tornato sopra 80 dollari al barile e un’inflazione nell’Eurozona ereditata al 5%, mai così alta da quando esiste la moneta unica.
L’inflazione è una tassa sul lavoro, sui consumi e sui risparmi. Se la BCE non si deciderà a contrastarla, le famiglie s’impoveriranno sempre più e i consumi si ridurranno. L’economia italiana ripiegherà per il venir meno della domanda aggregata. Ma contrastarla significa alzare i tassi d’interesse o, perlomeno nel breve termine, prospettare di farlo. E questo a sua volta colpirà i consumi, specie di beni durevoli, nonché gli investimenti. Il costo di mutui e prestiti salirà e le famiglie spenderanno meno a debito, mentre le imprese investiranno un po’ meno. Anche in questo caso, domanda aggregata giù. Peraltro, con tassi in crescita sarebbe anche lo stato a dover contenere la spesa in deficit.
Economia italiana, rischi anche da politica e Covid
A queste criticità macro all’orizzonte se ne aggiungono altre di natura più autoctone. L’instabilità politica è e resta una costante dell’Italia. Ipocrisia vuole che sia sparita con il governo Draghi, ma la maggioranza che lo sostiene si regge sul semplice e unico desiderio di allontanare le elezioni politiche, le quali al prossimo giro faranno entrare in Parlamento 345 in meno tra deputati e senatori. Lo stesso premier è stato abile a rinviare tutti i nodi più divisivi, dalle pensioni alla giustizia. Comunque andrà per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, il rischio instabilità sembra più forte che mai. E il malcontento popolare arriverà con il caro bollette già nei primissimi mesi dell’anno.
Se Draghi sarà eletto presidente, nessun altro al momento sembra nelle condizioni di rimpiazzarlo e garantire equidistanza dai partiti. Se restasse premier, la maggioranza non durerebbe un giorno in più con un capo dello stato con ogni probabilità eletto da una parte contro l’altra del Parlamento. Inoltre, suonerebbe come una sconfitta cocente per il premier. Dall’Europa, il clima idilliaco degli ultimi tempi si farebbe più torbido. Nessuno a Bruxelles vuole rischiare di elargire 200 miliardi di euro con il Recovery Fund a una Nazione di cui non si fida. Le centinaia di riforme richieste a corollario di prestiti e sussidi lo stanno a dimostrare. Senza Draghi al comando, le erogazioni si farebbero meno certe e l’incertezza contribuirebbe a rosicchiare decimali di crescita all’economia italiana.
Stiamo partendo dalla previsioni di un tasso di crescita del PIL in area 4,5% o poco meno. Ma non avevamo previsto nuove restrizioni anti-Covid per fermare una potente quarta ondata dei contagi. Soprattutto, basta andare in giro per le città italiane per capire che siamo nei fatti sotto un “lockdown” volontario.