La Germania non si opporrà all’embargo ai danni del petrolio russo, nel caso in cui l’Unione Europea lo proponesse. Cade l’ultima resistenza forte alla misura estrema che l’Occidente vorrebbe adottare in blocco per massimizzare la pressione sul Cremlino. E’ evidente che la Russia stia finanziando la guerra in Ucraina, malgrado le dure sanzioni finanziarie, proprio attingendo agli enormi incassi derivanti dalla vendita di petrolio e gas all’Europa. Le quotazioni del Brent sono tornate in area 110 dollari al barile.
Boom del petrolio mette le ali ai paesi arabi
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, i tredici esportatori del Medio Oriente, che vanno dall’Arabia Saudita al Turkmenistan, quest’anno incasseranno complessivamente 818 miliardi di dollari dalla vendita del petrolio. Vedranno salire le loro riserve valutarie a 1.300 miliardi, mentre le partite correnti dovrebbero attestarsi mediamente al 12,2% del PIL.
I paesi arabi del Consiglio del Golfo – Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar – dovrebbero crescere del 6,4% dal 2,7% del 2021. Secondo il report, grazie agli enormi afflussi di denaro dalle esportazioni di petrolio, questi paesi dovrebbero disporre delle risorse sufficienti per implementare le riforme necessarie alla diversificazione delle rispettive economie. Si stima, poi, che le entrate petrolifere nelle casse statali saliranno del 5,3% del PIL per questi paesi arabi.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi in cifre
L’impatto positivo del caro petrolio sulle economie esportatrici è evidente se si pensa che le quotazioni medie del Brent nel 2021 fossero di poco superiori a 70 dollari. Quest’anno, si sono attestate a 100 dollari. L’Arabia Saudita esporta la media di 7,33 milioni di barili al giorno, cioè su base giornaliera starebbe incassando qualcosa come oltre 210 milioni di dollari in più, +78 miliardi in un anno.
Non meno florida la situazione per gli Emirati Arabi Uniti, che quest’anno dovrebbero registrare un surplus corrente al 18,5% del PIL, il doppio delle stime iniziali. Il paese vedrà anche scendere il rapporto debito/PIL da 38,3% a 31,7%. Infatti, aveva messo in conto a inizio anno un deficit fiscale pari allo 0,2% e, invece, dovrebbe registrare un avanzo di bilancio superiore all’8% del PIL.
Dalla crisi del 2014 al nuovo boom
I paesi arabi andarono incontro a grossi deficit fiscali dopo il collasso delle quotazioni del petrolio nel 2014. Con la pandemia, le quotazioni precipitarono nella primavera del 2020. Le prospettive erano diventate a dir poco fosche per le economie esportatrici del Golfo Persico. Tuttavia, il taglio drastico dell’offerta operato dall’OPEC e la risalita della domanda globale con l’allentamento delle restrizioni hanno riportato le quotazioni velocemente ai livelli pre-Covid. Anzi con il passare dei mesi sono schizzate ai massimi dal 2014.
La guerra tra Russia e Ucraina ha fatto il resto. I sauditi, leader di fatto del cartello petrolifero, non mostrano alcuna intenzione di accelerare i piani per aumentare la produzione. Temono da un lato le nuove restrizioni anti-Covid in Cina, dall’altro si godono il momento. I petrodollari entrano a fiumi, perché mai prosciugarli?