Il dato sull’inflazione nel mese di aprile negli USA era atteso questa settimana. I prezzi al consumo presso la prima economia mondiale sono cresciuti dell’8,3% su base annua, un po’ meno dell’8,5% di marzo. Le attese erano per un aumento dell’8,1%. Il dato “core”, al netto di generi alimentari ed energia, è salito del 6,2%, anche in questo caso sopra il 6% atteso, pur in calo dal 6,5% del mese precedente. In poche parole, il rallentamento dell’inflazione sta arrivando più lentamente del previsto.
Partiamo da un chiarimento: dire che l’inflazione stia rallentando non significa che i prezzi stiano scendendo. Semplicemente, continuano a crescere un po’ meno dei mesi precedenti. E la ragione fondamentale per cui ciò accade è tecnica: il raffronto dei prezzi inizia ad avvenire con i prezzi di un anno fa, quando stavano già salendo. Si chiama “base effects” e fa intravedere per la seconda metà dell’anno una discesa dei tassi d’inflazione un po’ in tutto l’Occidente. Infatti, la corsa dei prezzi si era resa evidente proprio negli ultimi mesi del 2021.
Lockdown cinesi contro il Covid
Ma prima di pensare che la battaglia contro l’inflazione possa essere vinta in fretta, dovremmo volgere lo sguardo a due realtà: Cina e Ucraina. Pechino non ha intenzione di archiviare la sua “politica di Covid zero“. Decine di città restano in lockdown, tra cui la grande e ricca Shanghai. Qui, le autorità martedì hanno inasprito le restrizioni, vietando ai residenti di fare acquisti online relativamente a beni di non primaria necessità. Un modo per sfoltire le consegne a domicilio.
Shanghai è una metropoli di 25 milioni di abitanti, il 40% dell’Italia. Dal suo porto transita il 20% delle merci esportate da tutta la Cina, che a sua volta incide per il 15% sui commerci di beni nel mondo.
I lockdown cinesi potrebbero accentuare le interruzioni delle catene di produzione, cioè la carenza di beni e la conseguente esplosione dei prezzi. Dunque, sono un fattore di rischio per l’inflazione. In parte, per il momento starebbero contenendo i prezzi delle materie prime, data la minore domanda mondiale dovuta al calo della produzione in Cina, principale manifattura del pianeta.
Rischi inflazione anche dall’Ucraina
Nel frattempo, poi, l’Ucraina non sta riuscendo ad esportare 25 milioni di tonnellate di grano. Questo resta nei silos, a causa dell’impossibilità di trasportarlo verso i porti, vuoi per ragioni di sicurezza (si pensi a Mariupol), vuoi per la rete infrastrutturale devastata dalla guerra. Il paese vale il 10% dell’export globale di farina. Denuncia anche furti dei raccolti ad opera delle truppe russe, le quali sottrarrebbero o distruggerebbero appositamente campi e trattori per danneggiare il più possibile l’economia del paese invaso. Non c’è difficoltà a capire che questa situazione rischi di colpire ancora più pesantemente il mercato alimentare, mandando in orbita i prezzi di numerosi beni di prima necessità.
Per non farci mancare nulla, l’Ucraina ha dovuto chiudere il terminale di compressione di Novopskov, nella regione separatista di Lugansk, a causa della presenza di truppe russe nell’area, che non garantirebbero la sicurezza del gasdotto. E così, le forniture di Gazprom verso l’Europa solamente nella giornata di mercoledì sono diminuite di un quarto, -24 milioni di metri cubi.