Lunedì scorso, la banca centrale argentina ha emesso le nuove banconote da 100, 200, 500 e 1.000 pesos. Meno animali caratteristiche delle regioni e più eroi e, soprattutto, eroine nazionali. Salgono a 17 le tipologie in circolazione, un fatto che lancia l’allarme sul rischio di contraffazione. La banconota da 100 pesos raffigura Evita Peron. Peccato che una ventina di anni fa valesse 100 dollari, mentre oggi al cambio ufficiale corrisponde ad appena 84 centesimi di dollari. Al mercato nero, poi, ne varrebbe intorno ai 48 centesimi. Già, perché negli ultimi cinque anni il cambio ha perso oltre l’86%.
La crisi argentina divora i pesos
C’è uno scollamento crescente e allarmante tra il cambio ufficiale e quello reale vigente sul mercato nero. Il primo, infatti, è tenuto sotto controllo dalla banca centrale, che entro certi limiti ne impedisce l’eccessivo deprezzamento. In settimana, servivano ufficialmente 119 pesos per un dollaro, sebbene per le strade dell’Argentina ne occorressero 208. Prima o poi anche Buenos Aires dovrà fare i conti con la realtà e per evitare il prosciugamento delle riserve valutarie, dovrà lasciar svalutare il cambio. Prima della pandemia, ammontavano a 65 miliardi di dollari. Da allora, si sono dimezzate.
Per le famiglie, tempi che si prospettano ancora più duri di quelli attuali. Con un’inflazione già al 58% in aprile, assistono a un’accelerazione della perdita di potere d’acquisto. Nel quinquennio 2017-2021, i prezzi al consumo nel paese sono cresciuti di quasi il 450%. Ed è così che anche solo per fare piccoli acquisti serve recarsi in negozio con pacchi di banconote sempre più numerose. Non entrano più nel portafogli e molti consumatori sono costretti a guardarsi intorno mentre fanno la spesa per paura di essere derubati.
La crisi argentina è così grave, che oramai le monete valgono molto meno dei metalli di cui sono composti. Esistono persino annunci di persone interessate ad acquistarle in base al peso, pagandole un multiplo del loro valore nominale.
Una moneta unica del Sud America chiamata Sur
Ma dal Brasile arriva la proposta di allentare la dipendenza dal dollaro nella regione, puntando su una moneta unica sul modello dell’euro. A lanciarla è l’ex presidente Lula, che si ricandida alle elezioni presidenziali di questo autunno dopo essere stato scarcerato a seguito di una condanna per corruzione. L’uomo, esponente della sinistra brasiliana, sostiene che dovrebbe nascere una moneta unica di tutto il Sud America, chiamata Sur. Sarebbe emessa da una banca centrale capitalizzata dagli stati aderenti in base alle riserve valutarie disponibili, proporzionalmente all’incidenza sugli interscambi regionali.
In realtà, tale idea non sembra dispiacere neppure il campo opposto. Il ministro dell’Economia del presidente Jair Bolsonaro, Paulo Guedes, sostiene che una moneta unica nel Sud America sarebbe “tra le cinque o sei più rilevanti al mondo” e aumenterebbe l’integrazione commerciale nell’area. Certo, l’esperienza europea dimostra che emettere una moneta unica senza alcuna unione fiscale possa tradursi in un azzardo economico potenzialmente fallimentare. E nel Sud America le politiche fiscali sono spesso scriteriate. La sola unione monetaria rischierebbe di non bastare per battere mali cronici come inflazione e svalutazione del cambio. Ad ogni modo, il solo fatto che s’inizi a parlarne è un segnale.