Il vice-ministro dell’Economia, Laura Castelli, vuole creare un fondo ad hoc da inserire nella prossima finanziaria. L’ex ministro dei Beni culturali e allo Sport, Giovanna Melandri, ha fatto appello affinché siano adottati al più presto anche in Italia sull’esempio del resto d’Europa. Si chiamano Social impact bond e presto potrebbero debuttare anche nelle nostre città. L’espressione farebbe pensare che si tratti di obbligazioni nel senso classico del termine, ma non è esattamente così. Le obbligazioni, siano esse a tasso fisso o variabile, sono un debito emesso da un soggetto (ente pubblico, banca o azienda) a favore di un creditore.
Come funziona un Social impact bond
I Social impact bond funzionano diversamente. Anzitutto, sono emessi da un ente pubblico solamente per finanziare iniziative che possano generargli un vantaggio. Gli obbligazionisti non hanno alcuna certezza di vedersi corrisposti gli interessi e lo stesso capitale. Ciò avverrà solamente nel caso in cui l’emittente centrasse i risultati ambiti e certificati da un ente indipendente.
Il caso di scuola è quello della Prigione di Petersborough nel Regno Unito. Emise nel 2010 un Social impact bond di 5 milioni di sterline per finanziare un’iniziativa tesa a ridurre i tassi di recidiva tra i detenuti di almeno il 7,5% rispetto a un gruppo di controllo. Nel 2017, il Ministero della Giustizia certificò che erano scesi del 9%, per cui i 17 creditori ottennero non solo il rimborso dell’intero capitale, bensì anche un rendimento annuale del 3%.
In un certo senso, i Social impact bond incorporano il rischio default per il mancato raggiungimento degli obiettivi. Se i comuni italiani avessero a disposizione simili strumenti, potrebbero teoricamente cercare di abbattere costi a loro carico in determinati ambiti.
Test per sindaci e amministrazioni comunali
Attenzione, però, a pensare che i Social impact bond possano essere strumenti finanziari per sindaci furbi. Più essi si mostrano inefficienti, maggiore il tasso preteso dal mercato per finanziare le loro iniziative sociali. E va da sé che dopo l’eventuale primo mancato rimborso, difficilmente si troverebbero investitori desiderosi di impiegare i propri capitali in altre iniziative della stessa città. D’altra parte, i sindaci dovrebbero mostrarsi capaci di determinare con esattezza i possibili risparmi conseguibili a seguito delle loro iniziative. In caso di successo, infatti, rischierebbero di accusare costi superiori ai benefici. I conti dell’ente ne uscirebbero devastati.