Il fallimento della Repubblica in un grafico: stipendi italiani in caduta libera da 30 anni

La retorica delle istituzioni repubblicane si scontra con i fatti: gli stipendi italiani sono precipitati negli ultimi 30 anni.
3 anni fa
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Stipendi italiani, caduta libera da 30 anni

Si celebrano oggi i 76 anni della Repubblica. Era il 2 giugno del 1946, quando tramite un referendum popolare gli italiani scelsero di porre fine a 85 anni di monarchia. I politici di tutti gli schieramenti nelle prossime ore useranno fiumi d’inchiostro, anzi di bit, per scrivere parole vuote con cui testimoniarci la loro esistenza in vita. La quasi totalità dei cittadini, però, stando a tutte le rilevazioni, ha già smesso di credere in loro da un pezzo. E alla base di così ampia sfiducia vi è la cronica incapacità delle istituzioni di offrire risposte ai problemi salienti e drammatici della quotidianità.

Uno di questi è dato dai bassi stipendi italiani, precipitati negli ultimi decenni in fondo alla classifica europea.

La crisi del mercato del lavoro italiano

I dati OCSE ci fotografano una realtà agghiacciante. Nel 2020, anno a cui si riferiscono le ultime rilevazioni statistiche, gli stipendi italiani risultavano essere i più bassi tra tutte le economie occidentali, ad eccezione del Portogallo. Espressi in valuta americana e a parità di potere d’acquisto, erano di appena 37.769 dollari lordi all’anno, il 23% in meno della media OCSE, che era di 49.165 dollari. A titolo di confronto, in Francia ammontavano a 45.581 dollari, in Germania a 53.745, nel Regno Unito a 47.147 e in Spagna a 37.922. Persino Madrid batte Roma.

Ma forse il peggio arriva quando andiamo a monitorare l’andamento degli stipendi italiani e nel resto d’Europa negli ultimi 30 anni. Scopriamo, infatti, che nel 1990 l’Italia primeggiava con un dato pari al 5% sopra la media OCSE. La Germania risultava di poco superiore con +9%. Dietro c’era la Francia a -6%, il Regno Unito a -11,5% e Spagna a -3%. Nel 2020, invece, le proporzioni erano totalmente ribaltate: Italia -23%, Francia -7%, Germania sempre +9%, Regno Unito -4% e Spagna -23%.

In termini reali, gli stipendi italiani in 30 anni sono diminuiti del 3%, mentre in Francia sono aumentati del 31%, in Germania del 34%, nel Regno Unito del 44% e in Spagna del 6%.

Nessuno male come noi. Del resto, il pessimo andamento si riflette in un altro dato del mercato del lavoro: il tasso di occupazione. Esso capta quante persone tra i 15 e i 64 anni di età lavorano sul totale della popolazione in quella fascia di età. In Italia, alla fine del quarto trimestre eravamo al 59,4% contro una media OCSE del 68,4%. In Francia, saliamo sopra 67%, in Germania sfioriamo il 76%, nel Regno Unito superiamo il 75% e in Spagna siamo a un discreto 63%.

Stipendi italiani giù e bassa occupazione

Se in Italia lavorassero percentualmente le stesse persone della media OCSE, avremmo 26,5 milioni di occupati, quasi 3,5 milioni in più di oggi. Se lavorassero nella stessa proporzione della Germania, gli occupati salirebbero a 29,3 milioni, ben 7 milioni e rotti in più. Questo dato paurosamente negativo spiega il basso livello degli stipendi italiani: i lavoratori non posseggono alcun potere negoziale, in quanto c’è scarsissimo lavoro disponibile. E allora come mai a inizio anni Novanta, quando l’occupazione era di poco superiore al 51%, gli stipendi italiani risultavano maggiori di oggi? Semplice: erano “drogati” dalla spesa pubblica, che a sua volta creava posti di lavoro fittizi nella Pubblica Amministrazione e nell’industria di stato. Ma la produttività del lavoro era scarsa e quando la realtà prese il sopravvento, la caduta dei livelli salariali è stata servita.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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