La strada per la riforma pensioni pare sempre più in salita. Sindacati e partiti politici scalpitano volendone fare tema di campagna elettorale. Il governo, invece, frena su nuove operazioni a debito.
Il rischio è quello di arrivare a fine anno con tanti buoni propositi, ma con poco di fatto. Come accaduto nel 2021 quando la riforma pensioni tanto attesa si risolse con la semplice istituzione di quota 102. Il rischio è quindi il ritorno alla Fornero per tutti a 67 anni di età o con uscita a 41-42 anni e 10 mesi di contributi.
Uscita con Quota 102
Fino al 31 dicembre si può andare in pensione con quota 102 che prevede l’uscita a 64 anni con 38 di contributi. L’opzione ha sostituito quota 100, ma ha durata breve e non è escluso che il governo possa proporne la replica per il 2023.
Una soluzione che troverebbe facile accoglimento solo qualora non si affrontasse il tema della riforma pensioni, come qualcuno teme. Del resto il Def 2022 non contiene cenno a tale riforma e pare che sul tema si navighi ancora a vista in attesa di chissà quale evento.
Resta il fatto che a 64 anni si può andare in pensione con il sistema di liquidazione misto e che non vi è alcuna penalizzazione nell’assegno. Anche se sono poche migliaia i lavoratori che ne possono beneficiare.
La pensione anticipata a 64 anni
L’età per l’uscita anticipata sembra comunque essere 64 anni. L’ipotesi di riforma più accreditata in questo momento sarebbe l’uscita a questa età ma con il ricalcolo contributivo della rendita spettante. Opzione che non piace molto ai sindacati, ma che sarebbe finanziariamente sostenibile.
In realtà la pensione (anticipata) a 64 anni già esiste per i lavoratori contributivi puri, cioè quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, ma è vincolata a un limite. Quello legato al minimo di pensione pari a 2,8 l’importo dell’assegno sociale.
Basterebbe quindi rimuovere questo paletto per ampliare la platea dei beneficiari, senza stravolgere l’impianto pensionistico esistente e mandare tutti in pensione a 64 anni. Questa seconda opzione, ovviamente, è penalizzante perché ridurrebbe l’importo della pensione mediamente del 10%.