Avrebbe dovuto raggiungere il picco in estate, ma adesso si prevede che lo farà in autunno. A giugno, l’inflazione nell’Eurozona è salita ulteriormente all’8,6% su base annua. Negli USA, il dato deve ancora essere pubblicato e decelererebbe un po’ rispetto all’8,6% di maggio. In ogni caso, la situazione è grave, tanto che nei giorni scorsi si è registrato uno scontro via Twitter tra il presidente Joe Biden e il fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Il primo aveva invitato i titolari delle stazioni di servizio ad abbassare i prezzi del carburante alla pompa.
Oh, l’inflazione è un tema troppo importante per essere affrontato dalla Casa Bianca in questi termini. O c’è una totale direzione sbagliata o una profonda mancata conoscenza delle dinamiche basilari del mercato.
La battaglia contro l’inflazione
L’inflazione è diventato il tema chiave della campagna elettorale in corso per il rinnovo del Congresso a novembre. I Repubblicani hanno gioco facile nell’accusare l’amministrazione Biden di non essere in grado di fermare la corsa dei prezzi al consumo. I Democratici stanno trovando nella presunta speculazione di avidi petrolieri la risposta agli attacchi. In altre parole, la stabilità dei prezzi sta sfuggendo di mano alle istituzioni americane. E come vedremo, lo stesso dicasi in Europa.
La Federal Reserve di Jerome Powell aveva negato per mesi l’esistenza stessa del problema. Successivamente, l’aveva definito un fatto “transitorio”. Dopodiché ha iniziato in gran ritardo ad alzare i tassi d’interesse. Il mercato sconta rialzi consistenti fino alla fine di quest’anno e già intravede tre tagli nel corso del 2023. Tutto ruota attorno alla possibile recessione dell’economia americana. Più si avvicina tale scenario e minori le probabilità che la FED porti avanti la stretta con piglio deciso.
Confronto con gli anni Ottanta
Spesso l’inflazione di questi mesi è paragonata a quella tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta, anch’essa scatenata da una crisi petrolifera.
Ma è soprattutto la diversa statura dei protagonisti a rilevare nella vicenda. A inizio anni Ottanta, il governatore Paul Volcker, pur nominato dal democratico Jimmy Carter, poté avvalersi del supporto del neo-eletto presidente repubblicano Ronald Reagan per combattere l’inflazione. I tassi furono alzati fino al 20% ed effettivamente la stretta ebbe successo. Tuttavia, provocò una recessione del PIL e un aumento temporaneo della disoccupazione. Bisognava “raffreddare” le aspettative d’inflazione e solo la durezza delle misure riuscì nell’intento.
Istituzioni poco credibili
Oggi abbiamo un governatore che definire “Mr Tentenna” sarebbe fargli un complimento. Quando parla di futuri, ulteriori rialzi dei tassi consistenti, non risulta credibile, anche perché non ha l’appoggio della Casa Bianca. Biden, già impopolarissimo stando a tutti i sondaggi, non vuole la recessione prima delle elezioni di novembre e forse neppure dopo. Attenzione: neppure Reagan gioì per la crisi controllata, ma la ritenne necessaria per sradicare il male che stava affliggendo le economie occidentali.
Altri tempi, altri uomini. In Europa non va meglio. La BCE deve ancora alzare i tassi con un’inflazione mai così alta nell’unione monetaria da almeno 40 anni. L’istituto è guidato da una Christine Lagarde dalle competenze a dir poco ballerine. I governi sono divisi e senza alcuna visione d’insieme sui temi economici. Ciascuno guarda al proprio orto, cioè alla propria economia domestica. I tedeschi vorrebbero tassi più alti, gli italiani no.