Ieri, il dato sull’inflazione negli USA a giugno ha sorpreso ancora una volta mercati e analisti al rialzo. I prezzi al consumo sono cresciuti del 9,1% su base annua, in accelerazione dal +8,6% di maggio e sopra il +8,8% atteso. Si è trattato del livello più alto dal 1981. Su base mensile, l’indice dei prezzi segnava +1,3%, ai massimi dall’aprile 2005. Nel frattempo, i salari reali sono caduti per il quindicesimo mese consecutivo, contraendosi del 3,6%. Ciò significa che stanno crescendo al ritmo di circa il 5,5% all’anno.
Eppure l’inflazione USA è un driver per il mercato finanziario globale. Esso batte i tempi della stretta monetaria presso la prima economia mondiale. Con questi numeri la Federal Reserve non solo dovrà tenere fede alla promessa di un nuovo maxi-rialzo dei tassi d’interesse a fine luglio, ma difficilmente potrà indietreggiare sulla sua retorica da “falco”. Con molte probabilità, i tassi FED saliranno di un altro 1%% al board di fine mese, portandosi al 2,75%. Il mercato scontava un rialzo dello 0,75% fino a qualche seduta fa.
Doppio impatto su rendimenti BTp
L’impatto sui rendimenti dei BTp è duplice. Per prima cosa, il rialzo dei rendimenti americani accresce la concorrenza ai danni dei titoli di stato europei. Chi comprerebbe un BTp a 10 anni senza congruo premio sull’omologo a stelle e strisce, pur scontando l’effetto cambio? Secondariamente, i rendimenti dei BTp risentiranno negativamente della linea di politica monetaria necessariamente più restrittiva anche a Francoforte. Il cambio euro-dollaro si è già portato sulla parità dopo venti anni. Questo fenomeno aumenta il costo dei beni importati, accelerando il tasso d’inflazione nell’Eurozona.
La BCE non può più permettersi di assistere a una continua crescita dei prezzi al consumo nell’area.