La pensione negata: la collaborazione fa perdere il diritto ai contributi volontari

Svolgere piccoli lavoretti o collaborazioni fa perdere il diritto al versamento dei contributi volontari per la pensione. Un incentivo al lavoro nero?
2 anni fa
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contributi

Il disoccupato che svolge lavoretti o piccole collaborazioni perde il diritto al versamento dei contributi volontari. Quindi niente pensione. Stano ma vero, ma nel Paese della giungla delle regole e della burocrazia succede pure questo.

Un vincolo paradossale che obbliga, volente o nolente, il disoccupato ad affidarsi al lavoro nero. Senza tutele e senza alcuna garanzia per la pensione. Del resto se per perdere il diritto alla pensione bisogna rispettare regolamenti assurdi, tanto vale restare disoccupati.

Contributi volontari e sospensione dei versamenti

In altre parole, il contribuente non può effettuare versamenti contributivi presso le gestioni previdenziali se percepisce anche solo un euro da collaborazioni, lavoro autonomo o subordinato.

Il divieto è previsto dall’articolo 6, comma 2 del decreto legislativo 184/1997.

Una norma vecchia e superata che però non è mai stata aggiornata dal legislatore. E non va nemmeno a difesa del lavoratore che, rimasto disoccupato, cerca di tutelare la propria pensione a titolo oneroso. Con i versamenti volontari appunto.

A tal fine la Corte Costituzionale si è pronunciata diverse volte negando la possibilità al disoccupato che svolge piccoli lavoretti o si iscrive alla Gestione Separata di proseguire con il versamento volontario dei contributi.

Pertanto, se durante i periodi di contribuzione volontaria si svolgono, ad esempio, prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa, l’Inps non riconoscere l’accredito volontario. Nella fattispecie li rigetta e restituisce i soldi.

Niente pensione ai disoccupati che lavorano

Detto così sarebbe anche logico, perché se uno lavora è obbligato a versare i relativi contributi derivanti dal reddito percepito e i periodi si sovrappongono. Ma la misura non è la stessa. Il difetto sta, quindi, nella mancanza di una soglia limite di reddito. Per converso, il lavoro regolare, soprattutto di collaborazione, deve essere denunciato alla Gestione Separata e quindi soggetto a contribuzione.

Il paradosso sta proprio nel fatto che se il lavoro è di semplice collaborazione e magari di breve durata di basso reddito non dovrebbe inficiare sul versamento dei contributi volontari.

In buona sostanza se la contribuzione da prestazione collaborativa o lavoro autonomo è minima, non dovrebbe interrompere la prosecuzione volontaria dei versamenti contributivi se sono più alti.

Tant’è, ad esempio, che il disoccupato in Naspi può percepire comodamente redditi fino a 4.800 euro all’anno senza perdere il diritto alla indennità economica. Indennità che, come noto, dà diritto a contribuzione figurativa.

Lo stesso dicasi per chi è disoccupato. Lo status è mantenuto pur in presenza di redditi da lavoro dipendente fino a 8.174 euro all’anno o autonomo fino a 5.500 euro. Quindi, da una parte il disoccupato può svolgere piccoli lavori, mentre dall’altro non può garantirsi la pensione perché l’Inps non gli accetta i contributi volontari. E’ del tutto evidente che c’è qualcosa che non funziona e va rivisto.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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