Che la riforma pensioni fosse uno scoglio difficile da superare per Mario Draghi era noto. Ora, con la fine della legislatura e nuove elezioni in arrivo, è certo che per quest’anno non se ne farà nulla. Del resto, checché se ne dica, non è una misura urgente e prioritaria.
La strada verso il ritorno pieno alle regole Fornero è quindi spalancata. E non è nemmeno una sorpresa. Il governo Draghi non ha mai disdegnato la fine delle pensioni anticipate e delle deroghe al sistema ordinario.
L’incubo del ritorno alla Fornero sulle pensioni
In questo contesto politico ed economico, d’altra parte, è difficile immaginare una riforma pensioni ben fatta che richiederebbe tempo e confronti costruttivi con le parti sociali. Inoltre dovrebbe essere agganciata a una revisione della politica salariale (salario minimo) adeguata ai tempi moderni.
Non si può nemmeno ricorrere ancora una volta al deficit come vorrebbe la Lega o con Quota 41 come chiedono i sindacati. Il dissesto dei conti pubblici è dietro l’angolo, vuoi solo per il fatto che dal prossimo anno serviranno altri 23 miliardi per rivalutare 16 milioni di pensioni a causa dell’inflazione.
Quota 102 è in fase terminale. La pensione anticipata con uscita a 64 anni e 38 di contributi ideata dal governo per evitare lo scalone tra la fine di Quota 100 e i requisiti di vecchiaia sta per scadere. Senza interventi legislativi, non ci saranno più deroghe alle regole Fornero.
Le proroghe in arrivo
Tuttavia qualcosa si farà con la legge di bilancio 2023. Piccoli aggiustamenti per prendere tempo e non lasciare i lavoratori allo sbando a fine anno e alla mercé delle stringenti regole Fornero. Cioè pensione a 67 anni per tutti o, in alternativa uscita con 41-42 anni e 10 mesi di contributi.
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha rassicurato che saranno prorogate Ape Sociale e Opzione Donna. Ma non basta. Le due misure sono insufficienti a coprire la platea di quei lavoratori che è rimasta fregata dalla fine di Quota 100.
Sullo sfondo ci sarebbero le riforme suggerite dall’Inps per riformare il sistema senza compromettere l’equilibrio delle finanze pubbliche. Ma si viaggia sul filo del rasoio perché, in ogni caso, i potenziali beneficiari non sarebbero molti e subirebbero penalizzazioni.