Forse non c’è stata negli ultimi decenni alcuna amministrazione americana ad avere inanellato un fallimento dietro l’altro, specie in politica estera. A meno di un anno dalla rovinosa ritirata delle truppe americane dall’Afghanistan, l’economia mondiale è sull’orlo della stagflazione. E l’ultimo flop del presidente Joe Biden rischia di aggravare lo scenario. A luglio, l’inquilino della Casa Bianca aveva preso il volo per Riad, dove ha incontrato gli esponenti della potente famiglia reale nel tentativo di convincerli ad aumentare la produzione di petrolio.
Biden umiliato dai sauditi
Mercoledì si è avuta la conferma che l’incontro tra Biden e i sovrani sauditi non abbia portato buone nuove. L’OPEC+ ha deciso di aumentare l’offerta di petrolio di appena 100.000 barili al giorno a partire dal mese di settembre. Mai il cartello guidato dall’Arabia Saudita aveva annunciato un incremento così ridicolo. Le attese erano per un +300.000 barili al giorno.
Il segnale che è arrivato dall’OPEC+ è piuttosto chiaro: i principali paesi esportatori di petrolio se ne stanno infischiando del rischio stagflazione nell’Occidente. Essi hanno la necessità di risollevare le rispettive finanze statali dopo anni di politiche di austerità fiscale per compensare le minori entrate dal petrolio. Va anche detto che i sauditi estrarranno qualcosa come 11 milioni di barili al giorno, quasi un record nella sua storia. Non a caso, nel secondo trimestre la sua economia è cresciuta di quasi il 12% su base annua. Ma non dimentichiamo anche che ormai l’OPEC+ comprende la Russia di Vladimir Putin, per cui sul piano geopolitico appare incline a condividerne le posizioni.
Il Brent mercoledì accelerava sopra i 100 dollari dopo l’annuncio. La situazione è incandescente, con la Russia che ha chiuso i rubinetti del gas all’Europa, non consentendole di accumulare riserve in vista dell’inverno. Peraltro, le sue truppe avanzano nel Donbass, conquistando territorio ucraino. Allo stesso tempo, la Cina è andata su tutte le furie sulla visita di Nancy Pelosi a Taiwan e minaccia “serie ripercussioni” ai danni dell’America, nonché una risposta militare contro l’isola.
Il mondo verso la stagflazione
Ci sono tutti gli ingredienti per una perfetta stagflazione: mondo in subbuglio, petrolio e gas che rincarano, catene di produzione che saltano, tendenziale chiusura dei mercati sul piano commerciale ed economia in rallentamento, già in recessione negli USA. L’aspetto più grave è che i sauditi abbiano alzato il dito medio agli americani dopo la visita di Biden, quasi a voler umiliare il loro massimo rappresentante, cioè l’uomo più potente del mondo.
In Asia, c’è un blocco di paesi che sta ignorando le sanzioni contro la Russia, il quale al contrario sta integrandosi con essa. Parliamo di Cina, India e l’Arabia Saudita, oltre che naturalmente la stessa Russia. Se fino a pochi giorni fa aleggiava ancora la flebile speranza che Pechino avrebbe indotto l’alleato russo a più miti consigli sull’Ucraina, dovendo salvaguardare la propria sfera di relazioni commerciali con l’Occidente, dopo l'”incidente” di Taiwan quella porta sembra essersi chiusa.
Se in un qualche modo l’isola dovesse accusare tensioni tali da non riuscire ad esportare le proprie merci, si arresterebbe la produzione di beni come elettronica di consumo, elettrodomestici e auto in tutto il mondo. Essa produce la quasi totalità dei chip di gamma alta esistenti. La carenza dei mesi scorsi è stata dovuta in buona parte proprio al blocco della produzione a Taiwan dopo un focolaio di Covid in uno dei suoi stabilimenti.