“In Germania sono costretti a tornare a bruciare carbone, in Francia a spegnere l’illuminazione nei monumenti e in Spagna quella delle vetrine dei negozi, cose impensabili fino a pochissimi anni fa”. Ha esordito così il nuovo ministro dell’Economia, Sergio Massa, quasi per indorare la pillola sulla drammatica crisi argentina di questi mesi. Raccoglie un’eredità pesantissima, con l’inflazione esplosa a luglio al 64% ed attesa al 90% entro la fine dell’anno. Il presidente Alberto Fernandez gli ha affidato un “super ministero”, comprensivo della gestione di Agricoltura e Attività Produttive.
Svalutazione del cambio contro crisi argentina?
Le tensioni sui mercati non si sono placate sotto Batakis, anzi la donna era stata percepita ostile agli investitori e alle riforme economiche. A preoccupare è, in particolare, il collasso del tasso di cambio. Per un dollaro ci vogliono ormai ufficialmente circa 133 pesos, ma sul mercato nero venerdì scorso occorrevano ben 286 pesos. In appena un anno, il deprezzamento è stato del 27%, mentre per il “dolar blue” si è arrivati a -37%.
La banca centrale argentina ha sì alzato i tassi d’interesse a giugno di 300 punti base, ma portandoli al 52%, nettamente sotto l’inflazione. Al Fondo Monetario Internazionale (FMI) il governo aveva promesso di portarli sopra per sconfiggere l’inflazione. L’istituto non ha più sufficienti riserve valutarie per difendere il cambio. In cassa ha dollari per 32,3 miliardi, corrispondenti ad appena quattro mesi di importazioni. Una maxi-svalutazione, tuttavia, resta esclusa da qui alle elezioni dell’anno prossimo.
Amministrazione Fernandez molto impopolare
Massa è stato fino a qualche giorno fa presidente della Camera bassa. Ha promesso di porre fine alle stamperie della banca centrale. In effetti, nell’ultimo anno la massa monetaria calcolata con l’aggregato M3 è aumentata di circa il 42%. Ha chiarito che il bilancio dello stato sarà coperto con entrate e ricorso all’indebitamento, non più grazie alle monetizzazioni dei disavanzi. Questi saranno contenuti, spiega, al 2,5% del PIL fissato dall’amministrazione. Inoltre, si è impegnato a centrare gli obiettivi sul saldo primario concordati con l’FMI. A questi Buenos Aires dovrà restituire 44 miliardi di dollari, pur secondo i termini della rinegoziazione.
Quattro le promesse di Massa: ordine fiscale; avanzo della bilancia commerciale; rafforzamento delle riserve valutarie; sviluppo accompagnato dall’inclusione. Resta da vedere come saranno perseguiti gli obiettivi due e tre. In teoria, una svalutazione sarebbe imprescindibile, ma per quanto detto appare improbabile da qui al prossimo anno. A meno che l’amministrazione Fernandez voglia giocarsi il tutto per tutto, consapevole che di questo passo la sconfitta nell’autunno del 2023 sarebbe certa.