La causale nel bonifico che molti usano e che mette in allerta il fisco

Il bonifico rappresenta il pagamento tracciabile per eccellenza. E, per questo, quello più soggetto a vigilanza fiscale.
2 anni fa
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Quello della tracciabilità non è un trend passeggero ma un tema concreto. E anche se alcuni strumenti pensati per favorirla non hanno raggiunto gli obiettivi sperati (vedi il Cashback), l’idea di base resta sempre quella di favorire al massimo la trasparenza delle transazioni, soprattutto per una tutela del consumatore sul piano fiscale. Prova ne sia il rafforzamento degli obblighi sui pagamenti con metodi elettronici, attraverso le nuove disposizioni entrate in vigore il 30 giugno scorso. L’obbligo di dotazione di una macchinetta POS esisteva già ma, ormai da oltre un mese, ai commercianti è fatto divieto di rifiutare una transazione richiesta dal cliente tramite bancomat o carte varie, pena l’applicazione di una sanzione di 30 euro maggiorata dal 4% del valore complessivo dell’importo negato.

Un cattivo affare, dunque, rifiutare all’acquirente di utilizzare un pagamento tracciabile. Ma attenzione, perché i controlli fiscali non bussano solo alle porte dei commercianti. Un’attenzione particolare deve arrivare anche dal semplice contribuente, specie nel momento in cui esegue un bonifico.

Bonifico, i dettagli da non dimenticare

Fra gli strumenti di pagamento più popolari in assoluto, specie nel momento in cui le cifre dovessero essere più elevate del solito, il bonifico risponde ad alcuni dettami imprescindibili. Poche regole ma essenziali, sia al fine di favorire al meglio la transazione, sia di mettere al riparo chi emette l’ordine da possibili controlli da parte del Fisco. Sì, perché se il pagamento tramite POS può essere considerato uno metodo utile per scongiurare pratiche di non emissione delle ricevute fiscali, il bonifico rappresenta lo strumento tracciabile per eccellenza. Chiaramente, in questo senso l’importo rappresenta il dato primario, sia dal punto di vista di chi paga che per chi controlla. Una cifra particolarmente alta rispetto agli standard (ossia ai dati assunti tramite dichiarativi e banche dati) attirerebbe dapprima l’attenzione della banca, quindi dell’Unità di informazione finanziaria.

E solo successivamente, qualora i primi approfondimenti non dessero gli esiti previsti, enti come l’Agenzia delle Entrate.

La causale “spia”

Occhio però al secondo requisito per eccellenza, per certi versi più importante dell’iban, pur fondamentale per eseguire il pagamento. Si tratta naturalmente della causale, ossia la motivazione che anima il bonifico stesso. Il viatico per comprendere le ragioni dell’emittente e, allo stesso tempo, la cartina di tornasole su possibili incongruenze. E questo vale tanto i contribuenti ordinari quanto per le aziende, al fine di determinare che i proventi non confluiscano nei famigerati paradisi fiscali. Per quanto possa sembrare incredibile, il Fisco bussa proprio a fronte di una delle causali più comuni, ossia quella riportante la dicitura “prestito”, oppure “donazione”. In sostanza, una delle azioni più scontate, come l’aiuto a un figlio in difficoltà, andrà a far suonare il campanello dell’Agenzia delle Entrate. L’ente, in generale, controlla tutti i movimenti. Tuttavia, una causale chiara funge da autodichiarazione, mettendo al riparo chi emette il bonifico da possibili noie fiscali. Al contrario, una motivazione debole o senza specifiche, sulle somme mosse potrebbe posarsi l’occhio del Grande fratello. Specie a fronte di importi ingenti. Meglio fare attenzione (e scrivere chiaro).

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