Era attesissima ed è andata un po’ meglio delle attese la pubblicazione del dato sull’inflazione americana nel mese di luglio. L’indice dei prezzi al consumo negli USA è salito dell’8,5% su base annua, da +9,1% a giugno. Le previsioni medie erano per un aumento di 8,7%. A trainare la crescita verso il basso sono stati i prezzi dell’energia, in rallentamento dal 41,6% di giugno al 32,9%. Resta negativo il dato sulla crescita dei salari reali dei lavoratori: -3,3% da -3,9% a giugno. In effetti, anche a luglio i salari nominali sono cresciuti del 5,2%, molto meno dell’inflazione americana.
Risalita dei bond mondiali
Il Treasury a 10 anni si è portato fin sotto 2,70%, salvo risalire poco dopo. Il mercato obbligazionario si attende per settembre un rialzo dei tassi di 0,50%. Ed entro fine anno, i tassi FED salirebbero al 3,50%, +100 punti o +1% da oggi. Ancora più interessanti le previsioni per fine 2023, quando i futures eurodollar segnalano fino a tre tagli dei tassi. In scia a tali dati, il cambio euro-dollaro è risalito ieri a 1,025.
Dicevamo, bond mondiali in apprezzamento. Ciò è dovuto all’allentamento delle tensioni sui tassi d’inflazione. Poiché gli USA praticamente anticiperebbero una tendenza in atto nel resto delle economie avanzate, il dato di luglio prospetta un “raffreddamento” nella crescita dei prezzi al consumo per i prossimi mesi anche in aree come l’Eurozona. E ciò richiederebbe una stretta monetaria meno pesante, a beneficio dell’economia globale.
Rischi per economia globale restano
In realtà, la situazione americana resta parzialmente diversa da quella europea. Da noi, la crisi energetica è diventata realtà tra tensioni geopolitiche con la Russia e allarme siccità. Tant’è che la Banca d’Inghilterra nei giorni scorsi ha avvertito che l’inflazione britannica è attesa in crescita fino al 13% a febbraio dell’anno prossimo.
Il calo dei rendimenti dei bond mondiali denota anche la consapevolezza che la disinflazione in corso, ancora incipiente e non convincente presso la prima economia mondiale, sia legata a tendenze recessive. In pratica, la Federal Reserve non riuscirebbe a combattere l’inflazione senza provocare una crisi economica. Per il momento, però, è stato scongiurato lo scenario peggiore: se l’inflazione americana avesse accelerato anche a luglio, il governatore Jerome Powell insieme al board sarebbe stato costretto a intervenire forse anche con un rialzo dei tassi d’emergenza.