Qualcosa si è rotto nell’Unione Europea da quando la scorsa settimana la Germania ha presentato un suo piano nazionale per cercare di risolvere la crisi del gas. Costo stimato in 200 miliardi di euro, che si sostanzia perlopiù nella fissazione di un tetto al prezzo del gas per i consumatori finali (famiglie e imprese) sussidiati dallo stato. L’unità d’intenti del continente dinnanzi alla crisi energetica è andata in frantumi. L’idea che è emersa dinnanzi alla guerra mossa dalla Russia all’Europa è che ognuno farà da sé.
Rilasciando un’intervista per un quotidiano olandese, ha affermato che i tassi BCE saranno aumentati fino a che sarà necessario per ridurre “l’inflazione core”. Una precisazione, che ha tutto il sapore di una presa di posizione della Francia contro la gestione solitaria della crisi energetica da parte della Germania. Perché è evidente che quasi nessun altro stato dell’Eurozona abbia i margini di manovra fiscale di Berlino, per cui potrà reagire meno bene al caro bollette.
Scambio tra tassi BCE e piano europeo su caro bollette?
Così facendo, però, l’industria tedesca ottiene dal proprio governo un vantaggio competitivo che rischia di distruggere la concorrenza negli altri stati. Parigi ha preso nota e tramite il suo governatore centrale ha fatto sapere che indebitarsi in maniera mirata e temporanea per aiutare famiglie e imprese non dovrebbe indisporre i mercati. Questi, ha spiegato, hanno reagito male all’aumento strutturale del deficit nel Regno Unito con l’annunciato taglio delle tasse.
“Non dico che il rialzo dei tassi BCE si fermi qui, ma dovremo valutare in modo completo l’inflazione e le prospettive economiche”.
L’inflazione core a cui ha fatto riferimento il francese è quella al netto della componente energetica e degli alimentari freschi. A settembre, nell’Eurozona era salita al 4,8%. Ai massimi storici per l’area da quando esiste l’euro, ma comunque molto meno del 10% dell’indice generale dei prezzi. Al minimo cenno di ripiegamento, Parigi guiderebbe il fronte di coloro che opteranno per lasciare i tassi BCE invariati, anziché aumentarli ulteriormente. Una prospettiva che sa di minaccia per la Germania, dove l’inflazione a settembre è volata al 10,9%, mai così alta dal Secondo Dopoguerra. Per non parlare dell’Olanda, contrarissima al tetto europeo al prezzo del gas, che ad agosto registrava già un’inflazione del 12% e per settembre dovrebbe averne una sopra il 17%.
Germania contraria a debiti comuni
L’intento dei francesi sarebbe di far scendere i tedeschi (e gli olandesi) a patti. Questi ultimi hanno dichiarato espressamente per bocca del loro ministro delle Finanze, Christian Lindner, che di replicare gli strumenti utilizzati con la pandemia per reagire alla crisi energetica non se ne parla proprio. In altre parole, niente emissioni di debito comune per fronteggiare il caro bollette. E così, il rischio per Berlino consiste nel dover sostenere tassi d’inflazione più alti a lungo, qualora i tassi BCE restassero bassi. O accettano lo scambio ventilato tra le righe da Parigi o dovranno subirne le conseguenze.
Peraltro, la posizione tedesca sarebbe stata bocciata dal direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva.