Cambio di governo, e non solo. L’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi muta persino il lessico istituzionale. RAI e stampa nel pallone, non sanno come riferirsi al nuovo capo del governo. La diretta interessata ha ufficializzato la propria posizione al riguardo: sarà “il presidente del Consiglio”. Resta il maschile. A proposito, chi vi scrive ha fatto questa scelta: Meloni sarà “la premier”, usando un termine informale per le istituzioni italiane. Se, invece, useremo l’espressione prevista dalla Costituzione, sarà “il presidente del Consiglio”.
Sostegno a nascite o colpo alle unioni civili?
E, in particolare, quattro hanno scatenato polemiche e dibattiti giornalistici. All’italiano comune, invece, il cambio di denominazione frega quanto sapere che il Messico sia più piccolo della Groenlandia. Ad ogni modo, al discorso di ieri alla Camera sul voto di fiducia, la premier ha voluto di soffermarsi su un paio di essi.
Il Ministero per la Famiglia, le Pari Opportunità e la Natalità è forse il cambio più sensibile. I fautori dei diritti civili a favore delle coppie omosessuali temono che ciò esprima l’intenzione del nuovo esecutivo di cancellare le conquiste ottenute con le unioni civili. Ma Meloni ha spiegato che “il centro-destra non limiterà mai le libertà personali”. Il nuovo nome per il ministero punta, invece, a sottolineare l’impegno dell’esecutivo a sostegno delle famiglie e delle nascite per cercare di porre fine al cosiddetto “inverno demografico”. Il tasso di natalità in Italia è sceso come non mai e ormai risulta insufficiente a compensare i decessi, anche includendovi gli apporti alla popolazione dell’immigrazione.
Nomi ministeri, da Mussolini a Meloni
C’è poi il Ministero per le Imprese e il Made in Italy di Adolfo Urso.
Di fatto, il cambio di denominazione a cui è sottoposto ciclicamente riflette perfettamente le diverse ideologie che ne stanno alla base. Il vecchio centro-destra berlusconiano poneva l’accento sulla gestione degli affari riguardanti il sistema delle imprese. Il centro-sinistra prodiano puntò, invece, sulla volontà di utilizzare il ministero per sostenere lo sviluppo dell’economia, in ciò coerente con il linguaggio e gli obiettivi di un governo di matrice socialista. Adesso, la destra meloniana intende rimarcare la natura promozionale che il ministero assumerà a beneficio delle imprese italiane all’estero. Il segno dei tempi, diremmo. E per questo è probabile che le competenze in tal senso assegnate negli anni passati al Ministero degli Esteri siano recuperate per rendere il lavoro di Urso più efficace.
Sovranità alimentare, non autarchia
Ha strappato più di un sorriso, poi, il Ministero per l’Agricoltura e la Sovranità alimentare. L’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, si è chiesta se ciò significhi che non faremo più entrare ananas sul mercato italiano. In realtà, la denominazione non risulta neppure originale, tant’è che ad usarla per prima è stata la Francia di Emmanuel Macron. E non parliamo di certo di un presidente “sovranista” nel senso che noi assegniamo al termine in Italia.
Sovranità alimentare, invece, è un obiettivo contemplato dall’ONU da ormai diversi anni e che la FAO chiede ai governi di centrare. Significa molto concretamente di rendere l’economia nazionale quanto meno dipendente possibile dalle importazioni alimentari estere. Certo, il raggiungimento dell’obiettivo dipende anche, se non soprattutto, dalle condizioni climatiche e geografiche.
Merito o classismo?
Infine, Ministero all’Istruzione e al Merito. Ha scatenato forse le polemiche più furenti tra quanti sostengono che la denominazione rifletterebbe un approccio classista all’istruzione da parte del centro-destra. Il merito, in buona sostanza, sarebbe la foglia di fico per giustificare differenze sociali sempre più forti. Come dire che chi è povero, in un certo senso se la sia andata a cercare. Il dibattito può affascinare, ma risulta molto ipocrita. L’Italia è già oggi un Paese con grandi disparità: tra Nord e Sud, tra vecchie e nuove generazioni, tra le solite famiglie di potentati locali e il resto della popolazione, tra ceti garantiti e ceti precari, ecc.
Declinare il merito dentro le scuole significherebbe assegnare importanza al lavoro dei docenti, alla loro capacità di fungere da “ascensore sociale” a favore degli studenti nati in famiglie non privilegiate sul piano reddituale e della scolarizzazione. Significa porre fine a decenni di malinteso senso dell’uguaglianza, per cui chi s’impegna è valutato alla stregua di chi si gira i pollici. Persino la Costituzione recita all’art.34 che “Capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Nomi ministeri, lessico figlio dei tempi
E non è sempre così, dato che l’istruzione non è del tutto gratuita, specie all’università, e gli aiuti elargiti dallo stato risultano il più delle volte insufficienti a coprire la domanda di borse di studio, anche per l’atavica furbizia di tante famiglie povere solamente per il Fisco e che reclamano sussidi, pur non avendone bisogno e diritto.
La carrellata di nuovi nomi, comunque, non è detto che cambierà la sostanza.