Il comunicato di ieri della BCE è stato in gran parte in linea con le previsioni. L’istituto ha annunciato il terzo rialzo dei tassi d’interesse consecutivo dopo quelli di luglio e settembre. I tassi di riferimento salgono da 1,25% al 2%, i tassi sui depositi delle banche raddoppiano da 0,75% a 1,50% e il tasso sui rifinanziamenti marginali passano da 1,50% al 2,25%. Fin qui nulla che non fosse stato previsto. Invece, la stretta sui prestiti bancari erogati con le aste T-Ltro era in dubbio ed è arrivata.
E così, a far data dal 23 novembre prossimo, sui prestiti ottenute dalle banche attraverso le aste T-Ltro si applicheranno i (maggiori) tassi BCE ponderati per ciascun periodo. In questo modo, si riduce notevolmente la convenienza a continuare a detenere scorte di liquidità non investite.
Arriva la stretta sui prestiti T-Ltro
A seguito della pubblicazione del comunicato, il BTp a 10 anni ha visto scendere il rendimento al 4%, ai minimi da cinque settimana. E lo spread con il Bund si è portato a 205 punti base. Nel frattempo, la discesa del rendimento tedesco era più contenuta, mentre il cambio euro-dollaro s’indeboliva fino a riportarsi sotto la parità.
Nel complesso, la stretta sui prestiti non avrebbe intaccato la percezione meno “hawkish” del previsto delle nuove misure della BCE. Ad esempio, non è arrivata la temuta cessazione dei riacquisti dei bond in scadenza con il “quantitative easing”. E, quindi, Francoforte tiene ancora attivo un programma, che in fase di reinvestimento si sta rivelando cruciale per contenere gli spread nell’area. Anche se, obiettivamente, è la flessibilità concessa dal PEPP a garantire rendimenti sotto controllo nel Sud Europa, Italia in testa.
Quanto alla stretta sui prestiti di cui vi accennavamo, essa consiste nel rendere meno accomodanti le condizioni fissate con le aste T-Ltro del 2020. Allora, la BCE erogò fino a 2.100 miliardi di euro alle banche dell’Eurozona a tassi d’interesse fino al -1%. Liquidità a fiumi e sottocosto di cui non si vede più la necessità. Anzi, tale eccesso di liquidità non giova a combattere l’inflazione e finisce per produrre utili miliardari per le banche senza che facciano alcunché. Basta spostare il denaro ricevuto in prestito sul conto della stessa BCE per percepire i (maggiori) tassi d’interesse offerti e per giunta in forte rialzo.
Possibile compressione dello spread
La stretta sui prestiti teoricamente sarebbe negativa per i titoli di stato. Riducendo la liquidità disponibile sul mercato del credito, verrebbe parzialmente meno la domanda per i bond. Tuttavia, potrebbe accadere l’esatto contrario. Le banche saranno spinte adesso ad investire tale liquidità in asset fruttiferi. E i bond sovrani sono per definizione a basso rischio, specie in tempi di crisi.
Poiché i BTp offrono rendimenti ben maggiori ai Bund, nuovi flussi di capitali si sposterebbero, ceteris paribus, sul mercato sovrano italiano. Al contempo, sarebbero liberati titoli di stato tedeschi finora detenuti dalle banche dell’Eurozona come collaterale di garanzia sui prestiti ottenuti. Ed è quanto ha chiesto nei giorni scorsi l’ICMA, l’Associazione che raggruppa gli operatori di derivati sul mercato dei capitali. Essa ha lanciato l’allarme circa l’imperfetto funzionamento del mercato repo, a causa della scarsa disponibilità di “safe asset”. Il riferimento ai titoli di stato tedeschi era evidente.
Per queste ragioni, la stretta sui prestiti paradossalmente potrebbe abbassare lo spread. Da un lato, porterebbe possibili nuovi capitali sui mercati semi-periferici dell’Eurozona, dall’altro accrescerà l’offerta di titoli “core” come i Bund.