Chi si è avvicinato all’argomento pensioni negli ultimi anni, magari come semplice appassionato o come nuovo addetto ai lavori forse non sa cosa significa baby pensione. Infatti, con questa definizione si fa riferimento a un sistema di pensionamento che è stato valido per circa un ventennio e che consentiva ai lavoratori del Pubblico Impiego di andare in pensione con pochi anni di contributi e con una età media di 44 anni. Un sistema che i critici oggi riconoscono essere stato la base di partenza della grave crisi economica che la previdenza sociale nostrana sta vivendo ancora oggi.
“Gentile redazione, so che a volte bastavano 20 o 25 anni di contributi per andare in pensione nel lavoro statale. Io effettivamente ho circa 25 anni di contributi. Mia zia addirittura lavorando nella scuola andò in pensione con 14 anni 6 mesi e un giorno di contribuzione. È una possibilità che posso utilizzare anche io lavorando da anni come dipendente della mia Regione?”
Dall’andare in pensione troppo presto all’andarci troppo tardi
Senza indugio la prima cosa da dire alla nostra lettrice è che questa possibilità di cui parla nella sua mail è una cosa del passato e oggi improponibile. Lei fa riferimento a vecchie normative che, a dire il vero, oltre che essere superate, continuano a essere ampiamente contestate per gli effetti che ancora oggi producono sul sistema previdenziale. Parliamo delle cosiddette baby pensioni. Il sistema pensionistico attuale è molto rigido e non consente pensionamenti rapidi e anticipati nel tempo se non al completamento di determinati requisiti.
Le baby pensioni di una volta e le pensioni contributive oggi
Per capire le differenze tra le due epoche previdenziali non si può che partire dal loro funzionamento. Dal 1973 al 1992 era in funzione un meccanismo che, nel Pubblico Impiego, aveva portato l’età media di pensionamento a 44 anni. Infatti vi erano lavoratori che andavano in pensione dopo 20/25 anni di lavoro svolto o, per le donne, addirittura dopo soli 14 anni, 6 mesi e un giorno di contribuzione. Persone che uscivano a 40 anni dal lavoro hanno prodotto e continuano a produrre, un autentico salasso per le casse dell’INPS. Si tratta di soggetti che godono di una pensione per oltre 40 anni di tempo, andando ben oltre quanto hanno accantonato versando contributi previdenziali durante la loro breve carriera.
Il sistema contributivo oggi
L’esatto contrario del meccanismo odierno, dove un lavoratore va in pensione con un sistema che tiene conto di età, contributi versati e pure della data a partire dalla quale ha iniziato a versare. E così con 20 anni di contributi non è facile lasciare il lavoro nemmeno a 67 anni di età. Infatti per chi ha iniziato una carriera dopo il 31 dicembre 1995, a 67 anni con 20 anni di contributi si può andare in pensione solo con un assegno pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Se non si centra quest’altro requisito la quiescenza slitta a 71 anni. Eppure c’è un trattamento agevolato per chi ha iniziato la carriera dopo il 1995: una uscita garantita anche a 64 anni di età e sempre con 20 si contributi.
Le baby pensioni sono oggi improponibili
La nascita delle baby pensioni fu possibile per via di una economia italiana che all’epoca volava. Poca disoccupazione e lavoratori che numericamente erano maggiori dei pensionati. L’INPS incassava più soldi di quelli che spendeva per pagare le prestazioni. Una cosa oggi impossibile perché si vive in un’epoca esattamente opposta. E per la nostra lettrice ci sono poche possibilità di lasciare il lavoro se non a 67 anni di età. A partire dalla riforma delle previdenziale del 1992 le baby pensioni furono eliminate. Ma si stima che oltre 400.000 furono i lavoratori che ne hanno goduto. E molti di questi, ancora oggi in vita, continuano a goderne. Dal 1992 l’età di pensionamento è salita in maniera costante passando dagli originari 55 anni ai 67/71 di oggi. Allo stesso modo la contribuzione minima che permette di andare in pensione è passata dai 15 anni ai 20 di oggi.