Lo scorso giovedì, la Banca Centrale Europea (BCE) ha alzato i tassi d’interesse per la terza volta consecutiva, dello 0,75% come a settembre. I tassi di riferimento sono saliti al 2%, sui depositi delle banche all’1,50% e sui rifinanziamenti marginali al 2,25%. Qualche giorno prima, in occasione del voto di fiducia la premier italiana Giorgia Meloni aveva definito “azzardata” la politica monetaria di Francoforte. Stessi dubbi erano arrivati quasi contemporaneamente dal presidente francese Emmanuel Macron, mentre la premier finlandese Sanna Marin aveva messo in dubbio su Twitter la credibilità dell’istituto nel caso in cui portasse l’economia in recessione per battere l’inflazione.
Nel mese di ottobre, l’inflazione nell’Eurozona è salita al 10,7%, per la prima volta a doppia cifra da quando esiste l’euro. In Italia, sfiora il 12%, ai massimi dal 1984. Cos’altro avrebbe dovuto fare il board, se non alzare i tassi BCE? Se una critica si può rivolgere all’Eurotower, semmai è che la stretta sia arrivata tardi e sia ancora blanda. L’esatto contrario di quanto vadano sostenendo in queste settimane politici, giornalisti e categorie sociali. Fosse per le associazioni dei consumatori, ad esempio, i tassi BCE dovrebbero restare sempre a zero, “sennò aumenta il costo dei mutui“.
Tassi BCE restano negativi in termini reali
Con un’inflazione al 10,7%, i tassi reali nell’area sono ancora al -8,7%, cioè molto più bassi di inizio anno. Se ti presto 100 euro al tasso d’interesse del 2% e dopo un anno me lo restituisci svalutato di oltre il 10%, direi che non stia facendo un grande affare. L’affare lo fa chi il denaro lo prende in prestito.
Ma l’aspetto più paradossale di questa vicenda è che il rialzo dei tassi BCE non avrebbe ad oggi neppure ragione di provocare alcuna stretta del credito. Dal 2014, la liquidità iniettata sul mercato dall’istituto è stata pari a 7.000 miliardi di euro tra QE (3.250 miliardi), PEPP (1.700 miliardi) e aste T-Ltro (2.100 miliardi).
La BCE con il board di giovedì scorso ha iniziato a prendere provvedimenti sul punto, sia perché sarebbe ingiusto che le banche facessero utili solo con un clic del mouse, sia per rendere più efficace la sua politica monetaria. Se alzi i tassi BCE, ma nessuno ha bisogno di prendere a prestito soldi dall’Eurosistema, il costo del denaro resta invariato e l’inflazione pure. E questa deve pur scendere, altrimenti i problemi saranno seri per tutti. L’inflazione è una patrimoniale sui più poveri, cioè coloro che hanno redditi fissi e scarsi risparmi impiegati in strumenti perlopiù poco remunerativi.
Malafede di governi e categorie sociali
Governi e categorie possono sbraitare contro il rialzo dei tassi BCE quanto vogliono, ma ciò non toglie che la loro sia ignoranza o malafede. Essi oppongono la menzogna per cui il boom dei prezzi al consumo non sia stato provocato dalla domanda, per cui la stretta si rivelerebbe inefficace. Un film già visto negli anni Settanta. Sappiamo com’è andata a finire, con l’inflazione che si spense dopo un decennio grazie al maxi-rialzo dei tassi negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
L’esplosione dell’inflazione, invece, è stata alimentata proprio dall’eccesso di liquidità sui mercati. Con la pandemia, oltre alle vagonate di euro, dollari, sterline, yen, ecc., stampate dalle banche centrali, si aggiunsero gli enormi stimoli fiscali (sussidi) elargiti dai governi per indennizzare le categorie colpite dai lockdown anti-Covid.
La stretta globale sui tassi sta servendo a drenare parte di quella immensa liquidità in eccesso pompata sui mercati in anni e anni di stamperie. Essa fece comodo ai governi, che poterono indebitarsi a costi risibili e spesso ridicolmente negativi. E ora strillano perché è stata sottratta loro la droga da sotto il naso. Il ritorno alla realtà è duro per chi pensava che non si sarebbe mai svegliato dal sogno del denaro facile per sempre.