Bistrattato, accusato di avere perso il suo ruolo storico, millenario di asset protettivo del potere di acquisto, nelle ultime sedute è tornato in spolvero a smentire le cassandre. Il prezzo dell’oro è salito di circa il 9% dalla seduta del 3 novembre scorso, portandosi ieri sui 1.765 dollari. Si è trattato del livello più alto da tre mesi a questa parte. Bisogna tornare nei dintorni di Ferragosto per trovare quotazioni più alte. Cos’è accaduto per giustificare tale impennata? Il dollaro in poco più di una settimana ha perso mediamente il 5% contro le principali valute mondiali, tra cui l’euro.
Si conferma la correlazione storica negativa tra oro e dollaro. Ed è normale che sia così: poiché il mondo intero acquista il metallo in valuta americana, quando questa si rafforza il costo per gli investitori non americani sale e la domanda scende, trascinando in basso la quotazione. Viceversa con l’indebolimento del dollaro.
Dollaro giù, oro su
E perché il dollaro si sta indebolendo? Secondo il mercato, la stretta sui tassi d’interesse negli Stati Uniti sta avvicinandosi alla conclusione. Questione di (pochi) mesi e il costo del denaro avrà raggiunto il picco. Questa previsione è stata corroborata dalla discesa dell’inflazione americana nel mese di ottobre dall’8,2% di settembre al 7,7%. Il rendimento decennale è imploso ai minimi da cinque settimane sotto il 3,85%. Era sopra il 4,20% fino a lunedì scorso.
La discesa dei rendimenti globali tonifica l’oro, che è un asset infruttifero fino alla sua rivendita. In pratica, la concorrenza si è fatta un po’ meno forte. Se i titoli di stato ti offrono un rendimento annuo del 4%, magari lo preferisci all’oro. Se questo rendimento inizia a scendere di seduta in seduta, torni a guardare con occhi più benevoli al metallo.
Se convertiamo i prezzi in euro, scopriamo che quest’anno l’oro risulta essersi apprezzato di circa il 7%.
Spettro stagflazione
Il dollaro sembra destinato a indebolirsi nei prossimi anni. E’ salito mediamente del 35% dal 2014, date le politiche monetarie complessivamente ultra-espansive adottate nel resto del mondo. Adesso le banche centrali stanno quasi tutte alzando i tassi e quando la Federal Reserve prospetterà la cessazione della sua stretta, probabile che la divisa americana acceleri la fase d’indebolimento. E l’oro ne approfitterebbe, anche in virtù delle aspettative ribassiste sui rendimenti globali.
Lo scenario migliore per esso sarebbe quello di una lunga fase di stagflazione, caratterizzata da bassi tassi di crescita dell’economia mondiale, tassi d’interesse reali bassi o persino negativi e inflazione sopra i target. La crisi dell’energia nel Vecchio Continente adombra qualcosa di simile. Ricordiamo che in soli sette anni, tra il 1973 e il picco del 1980 il prezzo dell’oro esplose di circa il 600%. E guarda caso furono anni di stagflazione.