Questo non sarà ricordato di certo come un anno fortunato per i mercati finanziari. Mai avevano accusato cali così eclatanti sia delle azioni che delle obbligazioni. Nel primo semestre, in particolare, le seconde sono precipitate apparentemente senza alcun “floor” di riferimento. Nelle ultime settimane assistiamo a un discreto recupero, ma le perdite restano lontanissime dall’essere colmate. E Wall Street si avvia a chiudere in rosso del 17,50% nel 2022. Proprio in una fase così negativa, si odono sempre più ogni giorno le voci di chi ci ricorda che nel lungo periodo investire in borsa resti l’opzione migliore.
Il punto è capire cosa intendiamo per lungo periodo. Un investitore istituzionale, come può essere una banca o un fondo, può permettersi un orizzonte temporale anche molto longevo. Pensate che un fondo pensione tipicamente acquista asset a 30 anni per mettere a frutto i capitali dei clienti. Per una famiglia, invece, investire in borsa significa guardare generalmente ai successivi 5-10 anni. Difficilmente troviamo persone disposte a privarsi della loro liquidità per un periodo ulteriore.
Investire in borsa o bond?
Detto ciò, investire in borsa si rivela davvero la soluzione migliore? Abbiamo cercato di rispondere prendendo come riferimento gli ultimi 30 anni. E’ un lasso di tempo che coincide con un’intera generazione, anzi qualcosa di più. E nessuno può dubitare che si tratti di un periodo sufficientemente lungo per trarre alcune conclusioni salienti.
Portandoci indietro alla fine del 1992, l’indice S&P 500 valeva appena sui 430 punti. Adesso, sfiora i 4.000. E allora un T-bond a 30 anni offriva un rendimento lordo del 7%. In questi tre decenni, chi optò per investire in borsa avrebbe maturato un guadagno medio annuo del 7,7%. Dunque, le azioni hanno battuto, pur di poco, le obbligazioni. Con una differenza da non sottovalutare: le prime ci avrebbero esposte a tanti batticuore e inquietudini per via dei ciclici ripiegamenti; le seconde ci avrebbero fatto dormire sonni tranquilli.
Una vittoria non scontata
Tuttavia, la vittoria delle azioni sulle obbligazioni non è stata costante nel tempo. Tra la fine del 1992 e la fine del 2008, l’investimento in borsa ha reso il 4,6% medio annuo lordo. Perché abbiamo preso come riferimento questo periodo? Dopo il 2008 la Federal Reserve s’imbarcò in potenti stimoli monetari non ortodossi, varando il famoso “quantitative easing” e azzerando i tassi d’interesse. Queste misure sono state considerate artefici di una gigantesca bolla finanziaria.
Chi ha deciso di investire in borsa dopo il crac di Lehman Brothers, ha riportato guadagni annuali medi lordi superiori all’11%. Se poi è uscito dal mercato alla fine dello scorso anno, cioè con le azioni americane ai massimi storici, il guadagno medio sarà stato di quasi il 14% all’anno. Il doppio del rendimento trentennale del T-bond acquistato a fine ’92.
In conclusione, investire in borsa conviene nel lungo periodo. Anche considerando il capitale reale, dato che l’inflazione americana nel trentennio è stata del 112%. Ma la vittoria sul mercato a reddito fisso non è scontata. Lo era diventata negli anni passati, quando l’eccesso di liquidità aveva ingigantito le valutazioni della borsa in misura superiore a quelle dei bond.
Tra l’altro, va detto che qui abbiamo messo a confronto uno dei principali indici azionari al mondo con i titoli del Tesoro americano, considerati i più sicuri di tutti. Se avessimo effettuato il confronto con i corporate bond americani, i quali rendono a premio sui T-bond, i risultati sarebbero stati verosimilmente negativi per coloro che avevano optato per investire in borsa. E questo depone a favore del tanto vituperato mercato obbligazionario, che qualche saccente consulente finanziario considera roba per nonni.