L’embargo contro il petrolio russo è entrato in vigore dalla giornata di ieri nell’Unione Europea. Non si potrà più acquistare dalla Russia a un prezzo del petrolio superiore ai 60 dollari al barile. Sopra tale soglia saranno impediti anche servizi come il trasporto marittimo e l’assicurazione dei carichi. Mosca ha risposto minacciando di non vendere più un goccio del suo Urals all’Europa. Il Brent ieri è rincarato, pur di poco, rimanendo sotto la soglia dei 90 dollari. A sostenere la quotazione c’è stato anche l’annuncio dell’OPEC+ di non aumentare la produzione, come eppure si era vociferato alla vigilia della riunione.
Prezzo del petrolio a sconto in Asia
C’è il serio rischio che l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo finisca per favorire le produzioni in Cina. Da quando è scoppiata la guerra con l’Ucraina, la Russia ha aumentato le esportazioni di petrolio e gas in Asia. L’India, che fino al febbraio scorso acquistava poco e niente da Mosca, ha quintuplicato le importazioni nei soli primi tre mesi dall’invasione dell’Ucraina. La Cina le ha raddoppiate.
Questi due paesi, che da soli fanno quasi il 40% della popolazione mondiale, stanno acquistando Urals a sconto del 35-40% sul Brent. Approfittano delle difficoltà dei russi sul fronte occidentale e stanno così comprando a un prezzo del petrolio di almeno 30 dollari più basso rispetto alla media mondiale. Alla fine di novembre, stando agli analisti di Bloomberg, la Cina stava importando greggio dal vicino a 33,28 dollari in meno del prezzo del Brent, che si aggirava in quei giorni intorno agli 83 dollari.
In altre parole, la Cina starebbe acquistando già persino sotto 50 dollari al barile. Questo maxi-sconto è dovuto alla necessità della Russia di diversificare i mercati di sbocco per il serio rischio di restare senza clienti in Europa. Adesso che le è stato imposto da questa un tetto massimo al prezzo del petrolio, la pressione per dirottare l’offerta in Asia crescerà.
Rischio guerra commerciale
Qualcosa di simile farà l’India, che non a caso non ha votato a favore della condanna ONU contro l’invasione russa. La conseguenza per l’Occidente sarebbe spiacevole. I costi di produzione in Asia diminuirebbero, mentre in Europa sono esplosi negli ultimi mesi a causa della crisi del gas. La competitività delle produzioni europee, in particolare, sarebbe così destinata a diminuire e con essa le esportazioni.
A quel punto possiamo immaginare che, nel tentativo di difendere le produzioni nazionali, l’Unione Europea inasprisca la sua politica dei dazi ai danni di giganti come Cina e India. Il risultato sarebbe una “guerra” commerciale a carico dei consumatori, con tariffe che si scaricherebbero sui prezzi finali. E non è detto che ciò servirebbe a salvaguardare le imprese locali. Tutto ciò avrebbe l’effetto di rallentare la discesa dell’inflazione ai target fissati dalle banche centrali. E, del resto, non è uno scenario così secondario quello scontato da diverse case d’investimento, cioè la deglobalizzazione. Se ne parla sin da inizio pandemia. La guerra lo sta rendendo ancora più probabile.