Soltanto poche settimane fa, la vittoria di misura di Lula alle elezioni presidenziali in Brasile completava il filotto di vittorie della sinistra nell’America Latina. Un vento progressista e anti-capitalista, che era iniziato a soffiare forte con la vittoria a sorpresa di Pedro Castillo in Perù. Maestro alle elementari e poi sindacpetroalista di idee marxiste, da sconosciuto al pubblico finì per battere la candidata dell’ultra-destra nel luglio del 2021. Alla fine del 2019, comunque, l’Argentina era tornata in mani peroniste con il presidente Alberto Fernandez e la vice Cristina Fernandez de Kirchner, già presidenta per due mandati tra il 2007 e il 2015.
Fine politica di Kirchner in Argentina
Nel giro di poche ore, questa settimana il destino ha voluto che due dei più importanti volti della sinistra progressista latinoamericana finissero travolti dalle accuse di corruzione. Castillo ha avuto la peggio. Il Congresso cercava di rimuoverlo dalla presidenza ed egli a sua volta tentava di sciogliere il Congresso prima che votasse. Alla fine, è stato deposto e messo agli arresti prima che andasse a chiedere asilo politico all’ambasciata messicana a Lima. Al suo posto è stata eletta la vice Dina Boluarte, schieratasi con il Congresso. È il sesto capo dello stato in meno di cinque anni.
E la Corte federale di Buenos Aires ha condannato Kirchner per “amministrazione fraudolenta“. Da presidente, avrebbe favorito appalti per una combriccola di persone amiche con l’obiettivo di spartirsi il bottino. Il giudice ha rilevato che i lavori pubblici a Santa Cruz sarebbero avvenuti a prezzi gonfiati, rimasti incompleti e spesso non erano neppure necessari.
Sei anni di carcere per il politico ancora oggi più potente dell’Argentina. La donna non è stata arrestata grazie all’immunità di cui gode per il fatto di essere senatrice. Potrà fare appello, anche se ha annunciato che non si ricandiderà a nulla, “il mio nome non sarà sulla scheda” né per fare il senatore, né per il presidente.
Sud America travolto da tensioni sociali
La caduta di Castillo e Kirchner è stata una coincidenza, che rimarca le grandi tensioni sociali e politiche che l’America Latina sta vivendo in questi anni. La pandemia ha aggravato i conflitti tra categorie e l’inflazione sta esasperando i ceti più poveri della popolazione. La sinistra raccoglie facili consensi per l’elevato malcontento contro i governi in carica, ma il più delle volte non è capace di trasformarli in azioni volte alla crescita dell’economia.
Un altro caso eclatante è il Cile di Gabriel Boric, altro esponente della sinistra marxista. Dopo avere picconato il sistema bipolare sorto dalle ceneri dell’era Pinochet, il suo referendum di riforma costituzionale è stato bocciato dagli elettori e oggi il giovane capo dello stato risulta molto impopolare. Lo stesso Lula è stato eletto presidente per la terza volta dopo essere finito in carcere per corruzione. Il suo successore Dilma Rousseff era stata rimossa nel 2016 per avere falsificato i bilanci. Sulla stessa gravavano forti indizi di corruzione al tempo in cui era a capo di Petrobras, la compagnia petrolifera statale.
Sinistra latinoamericana al capolinea?
I diretti interessati ribattono sostenendo che contro di loro vi sarebbe una persecuzione giudiziaria ad opera degli avversari politici, i quali non accetterebbero il responso delle urne. È, da anni, la carta che usa la stessa Kirchner per difendersi dalle accuse. Ci sarà anche del vero in tali affermazioni, almeno per qualcuno. Tuttavia, la sinistra sudamericana è in fiamme proprio nel momento di massima congiuntura favorevole. Persino il Messico di Andres Manuel Lopez Obrador propende per posizioni marxiste. Eppure, i risultati non arrivano.
La sinistra sudamericana o è costretta a mantenere politiche economiche “market friendly” per evitare la fuga dei capitali o, quando applica le sue ricette, sfocia in provvedimenti estremisti e dagli effetti catastrofici.