Pensione sì, pensione no. Un po’ come il romantico giochino “m’ama non m’ama” che mette in mostra dubbi e perplessità, temendo di illudersi. Solo che oggi al posto dei petali ci sono le variazioni e gli aggiornamenti sulle varie misure pensionistiche. Vediamo quale “petalo” potrebbe restare sulla nuova “margherita pensioni” del prossimo anno.
Dal 2024 potrebbe prendere corso la tanto agognata Quota 41. La riforma pensioni che il Governo intende portare avanti si baserebbe sull’uscita secca con 41 anni di contributi per tutti, indipendentemente dall’età anagrafica.
Una riforma tanto discussa e controversa perché va a inserirsi nel quadro delle pensioni anticipate già esistenti nella riforma Fornero. Già oggi si può uscire con 41 anni e 10 mesi di contributi (12 mesi in più per gli uomini) a prescindere dall’età. Con Quota 41 cambierebbe poco nella sostanza, mentre graverebbe sulla spesa pubblica.
Riforma pensioni fra illusioni e speranze
Ciò nonostante, il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, in una recente intervista al “Messaggero”, ha dichiarato che Quota 41 resta l’obiettivo del Governo Meloni per il 2024 in tema di riforma pensioni. Ma tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare e i lavoratori ormai hanno perso fiducia nelle promesse che arrivano da Roma.
Intanto il confronto con sindacati e associazioni datoriali sulla riforma delle pensioni prenderà il via questo mese. Obiettivo principale, come indicato dalla ministra del Lavoro Elvira Calderone, è quello di
“chiudere la stagione delle forme di accesso a pensioni sperimentali e individuare l’accesso a pensioni più compatibili con le esigenze personali e sanitarie del lavoratore e al contempo di ricambio generazionale dei datori di lavoro, evitando pericolosi ‘scaloni’ anagrafici”.
Si punta quindi a un sistema pensionistico più semplice da affiancare alle attuali regole per le pensioni ordinarie a 67 anni. Secondo Freni, la scelta dell’esecutivo è chiara: il futuro va verso l’azzeramento dei limiti di età e l’uscita dal lavoro con 41 anni di contributi.
Perché si ritarda Quota 41
Ma perché Quota 41, tanto voluta dalla Lega, non è ancor stata fatta? La risposta è semplice: è una questione di costi. Le previsioni dicono che a partire dal 2024, Quota 41 costerebbe da sola nel primo biennio circa 3 miliardi di euro. Stanziamenti che, però, calerebbero per ogni anno di ritardo. Nel 2025 costerebbe meno, ad esempio.
Il che è di facile intuizione per i contabili del Ministero dell’Economia addetti ai lavori. Andare in pensione con 41 anni di contributi a partire dal 2024 significa che un lavoratore riceverà una rendita che si calcola per 18 anni col sistema contributivo e per 13 anni col sistema retributivo. Quest’ultimo è più conveniente per il pensionato, ma più oneroso per lo Stato.
Per ogni anno di ritardo – si intuisce chiaramente – diminuisce la quota da liquidare col sistema retributivo e aumenta quella da pagare col sistema contributivo. Così, lo stesso lavoratore nel 2025 avrebbe una pensione calcolata per 12 anni nel sistema retributivo e 19 in quello contributivo. Il che porta a risparmi di spesa considerevoli.
Ecco perché per il 2023 è stata introdotta Quota 41 con il vincolo anagrafico a 62 anni (Quota 103) e con soglia di pensione a 2.800 euro al mese. Per lo stesso motivo è presumibile che il Governo tirerà ancora per le lunghe Quota 41 secca combinando l’ennesimo pasticcio all’italiana.
Non ci resta altro da fare che aspettare di scoprire se l’ultimo petalo farà piangere o renderà felici molti cittadini italiani.