2022, anno nero per i fondi pensione, ma insistono con la previdenza complementare

Ci vorranno anni per recuperare le perdite dei fondi pensioni del 2022. Intanto il Tfr cresce del 10% e chi se l’è tenuto stretto adesso festeggia.
2 anni fa
3 minuti di lettura
pensione

Il 2022 si è chiuso con pesanti perdite per i fondi pensione. Tutte le gestioni, chi più chi meno, hanno archiviato risultati negativi incredibili che si ripercuotono e ripercuoteranno sui rendimenti di chi ha scelto questa via per la pensione integrativa.

Sono i rischi collegati agli investimenti in fondi pensione. Né più né meno di quanto accade in banca quando i risparmiatori investono i propri soldi in azioni, obbligazioni o fondi d’investimento. Ovviamente e come sempre, a maggiori rendimenti attesi corrispondo anche maggiori rischi.

L’anno nero dei fondi pensione

L’unica differenza fra i fondi pensione e gli investimenti in borsa è che il lavoratore tende a conferire maggiore fiducia nei primi rispetto ai secondi. Ma è solo una falsa prospettiva, una visione distorta delle cose. Media e governanti ci fanno abilmente credere che trattandosi di fondi pensione e di previdenza integrativa non esistono rischi. Invece ci sono eccome.

Lo abbiamo visto e toccato con mano con il ritorno d’impeto dell’inflazione. Tutto quello che mediamente i fondi pensione hanno guadagnato negli ultimi 6-7 anni lo hanno perso in nove mesi. Mancano ancora i dati ufficiali dell’intero 2022, ma secondo BFF l’anno che si è appena concluso è stato molto difficile per i fondi pensione. Con i negoziali che hanno perso il 9,4% e gli aperti l’11,0%.

All’interno dei singoli comparti, le linee che hanno offerto la miglior tenuta sono state quelle monetarie, sebbene comunque in flessione del 2,3% avendo risentito dei rialzi dei tassi attuati dalle Banche centrali. Per contro il Tfr è salito di quasi il 10%.

Le perdite per i lavoratori

Ma se queste sono le perdite dei fondi pensione che si collocano tra il 5 e 6 per cento del patrimonio complessivo, a quanto ammontano le perdite in termini di rendimento per i lavoratori? Ebbene, per rispondere a questa domanda bisogna capire quando un lavoratore ha iniziato a versare quote del proprio Tfr nei fondi pensione.

Se i versamenti sono iniziati 6-7 anni fa, la perdita sarà consistente e di conseguenza anche la rendita integrativa alla pensione. Chi, invece, ha iniziato a versare prima, può tirare un piccolo sospiro di sollievo.

Ovviamente se si tratta di calcoli che si possono fare solo nel momento in cui un lavoratore decide di andare in pensione e quindi si tirano le somme. Potendo contare su almeno 30-35 anni di versamenti, fra alti e bassi dei mercati, il risultato sarebbe alla fine comunque positivo. Ma non più di quanto il Tfr abbia potuto offrire nello stesso tempo.

Ricordiamo, infatti, che per recuperare le perdite serve molto tempo. E qui è determinate il timing dell’investimento, cioè il momento in cui si inizia a versare nei fondi pensione. Tanto nei fondi, come nel mercato azionario o obbligazionario si può rimanere incastrati per anni in attesa di risultati positivo. Non è vero, come ci raccontano, che il valore dei fondi cresce costantemente nel tempo. Niente di più falso per far abboccare i lavoratori.

Crescono i rischi per i fondi pensione

Non a caso recentemente l’Ocse ha messo in guardia i gestori dei fondi pensione dando due consigli di massima. Primo, garantire la protezione del risparmio pensionistico evitando asset troppo rischiosi, dopo le forti perdite dei mercati registrate nel 2022. Secondo, assicurare che gli investimenti possano essere convertiti in liquidità sempre, laddove necessario.

Questo ammonimento scaturisce dal fatto che negli ultimi anni, coi tassi a zero, i fondi pensione hanno cercato spasmodicamente rendimenti più attraenti investendo in strumenti finanziari più rischiosi con operazioni in derivati. Col risultato – come visto in Gran Bretagna – che quando i tassi sono improvvisamente tornati a salire, sono scattate le vendite a pioggia obbligando la Banca d’Inghilterra a intervenire per evitare il peggio.

Il Tfr resta la soluzione migliore per farsi una pensione integrativa

Come detto, il rendimento del Tfr segue il tasso d’inflazione. Vero che per anni non ha regalato grandi soddisfazioni ai lavoratori e i fondi pensione hanno avuto gioco facile ad attirare verso di sé un numero sempre maggiore di iscritti (quasi 11 milioni). Ma col ritorno dell’inflazione, il paragone non regge.

In ogni caso, anche in tempi di vacche magre per il Tfr, chi ha investito in fondi pensione non può non tenere conto dei costi di gestione fissi e variabili che i gestori si assicurano ogni anno. Somme di denaro anche cospicue che non vanno certo a beneficio dei lavoratori e delle future pensioni integrative, ma di chi gestisce, amministra e promuove a vario titolo la campagna delle pensioni integrative.

A tal fine bisogna ricordare che la strada dei fondi pensione non è l’unica per farsi una pensione integrativa. Nel momento in cui un lavoratore va in pensione e riceve il Tfr può decidere di investirlo comodamente in titoli di stato garantendosi interessi (cedole periodiche) che andranno ad aggiungersi alla rendita Inps. Col il vantaggio che il capitale resterà sempre e comunque nella disponibilità del pensionato. Cosa che non avviene coi fondi pensione.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Superbonus
Articolo precedente

Superbonus con bonifico sbagliato, il fisco detta le regole per non perderlo

rottamazione
Articolo seguente

Pagare la rottamazione-quater con la cessione del credito. E’ possibile?