La Cina rallenta il passo della crescita economica, ma si avvia a diventare entro pochi anni la prima economia mondiale. Soprattutto, non smette di esportare verso il resto del mondo. D’altronde, è così che ha impostato il suo ragguardevole sviluppo negli ultimi venti anni. Nel 2000, la sua bilancia commerciale segnava un attivo di 162 miliardi di dollari per i soli beni. Nel 2020, il dato saliva a 1.100 miliardi. E le economie del G7 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Canada) sono risultate determinanti per Pechino.
Andando nel dettaglio, la Germania è riuscita a mantenere sostanzialmente stabile il suo passivo commerciale intorno ai 6 miliardi, mentre il Giappone risulta averlo leggermente ridotto da quasi 20 a 18 miliardi. Male Italia e Francia, con un peggioramento rispettivamente da 3,6 e 4,5 a 21 e 19,7 miliardi. Peggio hanno fatto Canada (da -3 a -30 miliardi), Regno Unito (da -10 a -55 miliardi circa) e, soprattutto, gli Stati Uniti da -57,1 a -316 miliardi. Se dovessimo guardare al bicchiere mezzo pieno, i dati ci dicono anche che il disavanzo commerciale delle economie del G7 verso la Cina incideva nel 2020 per il 42,3% dell’intero avanzo di Pechino, in netto calo dal 63,6% del 2000.
Questo significa che la Cina ha diversificato i suoi mercati di sbocco, sebbene le economie ricche del pianeta continuino a rappresentare i suoi migliori clienti nel complesso. In generale, le esportazioni cinesi sono aumentate del 703% tra il 2000 e il 2020, vale a dire al ritmo medio annuo dell’11%. Allo stesso tempo, le sue importazioni sono cresciute dell’823%, pari all’11,75% all’anno. Questi dati risultano attenuati nei confronti delle economie del G7: esportazioni a +431%, pari a +8,7% all’anno; importazioni a +554%, +9,8% all’anno.
Interconnessione tra economie G7 e Cina cresciuta
In altre parole, la Cina ha visto crescere sia nel complesso che verso le economie del G7 le sue importazioni ad un ritmo più veloce delle esportazioni. Ciononostante, in valore assoluto le seconde risultano aumentate di più delle prime. Se ipotizzassimo che questi ritmi fossero sostenuti per i prossimi dieci anni, l’avanzo commerciale cinese non solo si riequilibrerebbe, ma salirebbe nell’ordine dei 3.000 miliardi all’anno. E le economie del G7 vedrebbero allargare il “buco” a quasi 1.000 miliardi. Ciò implica la necessità per il resto del mondo di accrescere le proprie esportazioni verso la Cina ad un tasso ben maggiore di quello attuale in relazione alle importazioni, al fine di riequilibrare la propria bilancia commerciale.
Questi dati, però, ci dicono ben di più. L’accrescimento degli interscambi ha reso le economie del G7 molto più legate al Dragone di inizio millennio. Allora, l’import-export con la Cina equivaleva appena all’1% medio del loro PIL. Nel 2020, l’incidenza era salita al 3,4%. In Germania, ad esempio, si è passati dall’1,15% al 5,6%. Ciò spiega perché parlare di fine della globalizzazione o anche solo ipotizzare un allentamento delle relazioni commerciali con la Cina sia molto più difficile di quanto crediamo.