In pensione a 67 anni o a 71 anni, per quale motivo? La pensione si può prendere in Italia quando contributi ed età sono stati completati come regole vogliono. Regole rigide, dure e ferree. Ci sono limiti di età istituzionali, così come ci sono limiti contributivi altrettanto istituzionali. Parliamo dell’età pensionabile canonica, che vede nei 67 anni di età il limite fissato per legge. Cosa significa questo? Che una volta arrivati a 67 anni di età dovrebbero poter andare in pensione i lavoratori.
In pensione a 67 o 71 anni? Il dubbio della nostra lettrice
“Buonasera, sono una lavoratrice nel settore privato che vanta una lunga carriera contributiva di cui però non è sicura la bontà per una ipotetica pensione. In parole povere ho dei dubbi riguardo al fatto che potrei andare in pensione. Vi dico che ho 66 anni di età 20 anni di contributi versati. Credo che per colpa del fatto che ho iniziato a lavorare tardi e soprattutto dopo la riforma contributiva delle pensioni, non potrò accedere alla pensione a 67 anni e, anzi, non prima dei 71 anni di età. Se non ho capito male le regole del sistema sono queste, e io sono tra quelli più penalizzati.”
Pensione di vecchiaia, come funziona per davvero?
Per andare in pensione 66 anni di età sono insufficienti e quindi la prima cosa che va detto alla nostra lettrice è che non avrà assolutamente possibilità di accedere alla pensione nel 2023. Infatti dovrà aspettare di compiere i 67 anni di età per avere qualche chance in più per andare in pensione.
La riforma delle pensioni Dini e perché è stata rivoluzionaria
Si può non andare in pensione nonostante il completamento dell’età pensionabile canonica e della canonica età contributiva? La risposta non può che essere affermativa. Nel 2023 come nel 2024, chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, dovrà superare un ostacolo aggiuntivo per andare in pensione a 67 anni di età e agli altrettanto soliti 20 anni di contributi. Questi due requisiti se superati, bastano per chi ha iniziato a lavorare prima dell’ingresso nel sistema della riforma contributiva voluta da Lamberto Dini. Per i cosiddetti contributivi puri, cioè per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, serve anche che la pensione sia superiore a 1,5 volt assegno sociale. Significa che una pensione più bassa finirebbe con l’escludere il diretto interessato da una pensione che potrebbe invece sembrare sicura.
Cosa cambia a 71 anni di età
In altri termini la pensione di vecchiaia ordinaria è una misura che per chi ha iniziato a lavorare dopo l’ingresso del sistema contributivo, non avendo contribuzione versata in epoca retributiva, non sempre è fruibile. Detto questo, è evidente che parliamo di una delle anomalie peggiori che il sistema previdenziale italiano. Un sistema che di fatto, pur fissando una età pensionabile vigente e pur fissando una età contributiva altrettanto vigente, non consente il pensionamento a tutti.
Quando l’assegno sociale può essere utile
Tornando alla nostra lettrice che sembra convinta di non poter andare in pensione per via del fatto che ha iniziato a lavorare nel contributivo e ricade in tutte le conseguenti limitazioni, qualcosa potrebbe lo stesso fare. Può, per esempio, verificare di non avere contributi da riscattare prima del 1996. Bastano pochi contributi, magari per il corso di laurea, oppure contributi versati in casse previdenziali diverse, per poter rientrare nel retributivo. E verrebbero meno le limitazioni della pensione di vecchiaia contributiva. Oppure, se non ha redditi entro determinati limiti, potrebbe godere dell’assegno sociale. Una misura assistenziale che si centra a 57 anni di età, a prescindere dalla contribuzione versata. Bisognerebbe avere maggiori informazioni per poter suggerire la via migliore alla lavoratrice. Ecco che il nostro suggerimento non può che essere quello di andare a un Patronato a verificare il da farsi, loro che potrebbero approfondire meglio la situazione delle lettrice.