Il prossimo board della Banca Centrale Europea (BCE) si terrà il 16 marzo e persino le “colombe” più sfegatate come il consigliere esecutivo italiano Fabio Panetta dovranno rassegnarsi a un nuovo maxi-rialzo dei tassi d’interesse dello 0,50%. Non esistono le condizioni minime per fare di meno dopo il dato sull’inflazione nell’Area Euro a febbraio, scesa all’8,5% dall’8,6% di gennaio. Il dato “core” è risultato ulteriormente in crescita al 5,6%. Rispetto all’apice del 10,6% toccato nell’ottobre scorso, c’è una discesa di poco superiore ai due punti percentuali.
Insomma, l’inflazione scende poco e, anzi, nei primi mesi di quest’anno sta rimanendo sostanzialmente stabile. La BCE si trova dinnanzi a un grosso guaio. Dovrà cercare di “raffreddare” le aspettative d’inflazione alzando i tassi d’interesse più in alto di quanto avesse in mente fino a qualche mese fa. Con rischi per l’economia nell’are di tutta evidenza. Guardate il grafico di sotto:
Inflazione traina tassi in alto
E’ l’andamento dell’Euribor a 3 mesi, che stava al -0,57% a inizio 2022 e che ieri era salito al 2,78%. Stando ai contratti “futures” siglati sul mercato, salirà ancora al 4% entro il mese di settembre. Poiché questo tasso riflette sostanzialmente quello fissato dalla BCE sui depositi bancari (oggi al 2,50%), ciò implica che gli investitori ritengono che i tassi BCE saranno aumentati di un ulteriore 1,50% dai livelli attuali. Pertanto, il tasso di riferimento si porterebbe dal 3% attuale fino al 4,25-4,50%.
Lagarde dovrà cercare per tutti i prossimi mesi di non smentire tali aspettative dei mercati, perché solo condizioni monetarie effettivamente restrittive sarebbero capaci di contrastare l’alta inflazione.
L’Italia è un sorvegliato speciale per il suo enorme debito pubblico, sceso sotto il 145% del PIL nel 2022, ma comunque a una volta e mezza la media del 93% nell’Area Euro. Se i costi di emissione salissero fino al punto da scatenare una nuova ondata di sfiducia sulle capacità di rifinanziamento del Tesoro, la BCE si troverebbe nella spiacevole situazione di dover scegliere tra stabilità finanziaria e stabilità dei prezzi. Attivando il TPI o “scudo anti-spread“, ad esempio, inietterebbe liquidità sui mercati, finendo per rinfocolare l’inflazione che cerca di combattere. La sterilizzazione di tali acquisti avverrebbe a discapito dei bond di altri paesi come la Germania, ma ciò comporterebbe problemi di copertura politica di tali azioni.
Torna spettro recessione
Senza paventare scenari così estremi, c’è da tenere d’occhio il PIL. La crescita nell’Area Euro è andata spegnendosi negli ultimi trimestri, vuoi per la fine del rimbalzo post-Covid, vuoi anche proprio per l’aumento dei tassi BCE.
Nell’ultimo trimestre del 2022, il PIL è cresciuto solo dello 0,1%. Nei primi due mesi dell’anno, sono arrivati segnali negativi da Germania e Francia, poco bilanciati dai segnali positivi dall’Italia. Passare da una stagnazione alla recessione non sarebbe difficile in un contesto di forti rialzi dei tassi. Un costo del denaro più alto disincentiva gli investimenti delle imprese, colpisce la domanda di prestiti delle famiglie per gli acquisti di beni durevoli e immobili, incentiva il risparmio e rende più parsimoniosi gli stessi governi. In sostanza, la domanda aggregata interna sembra destinata a contrarsi e solo un bilanciamento con maggiori esportazioni impedirebbe l’ingresso nella recessione.
Ma la stretta della BCE potrebbe far apprezzare ulteriormente il cambio euro-dollaro, frenando la crescita proprio dell’export. D’altra parte, il rialzo dei tassi mira proprio a ridurre i consumi per “raffreddare” l’inflazione. In parole semplici, la disinflazione richiede una contrazione del PIL, tanto più marcata quanto più resilienti si mostrino le aspettative del mercato. Ecco perché la BCE di Lagarde deve alzare la voce e mostrare la faccia dura. Serve fare scena per convincere investitori, imprese, lavoratori e consumatori che con le buone e le cattive la crescita dei prezzi sarà rallentata.