Botta e risposta con USB (Unione sindacale di base): Perché il Reddito di cittadinanza va migliorato, anziché tolto

Reddito di cittadinanza: perché è utile mantenerlo anche se cambia forma.
2 anni fa
11 minuti di lettura

repariamoci a dire addio al Reddito di cittadinanza. Da gennaio sono intervenute una serie di modifiche al sussidio, per accessibilità e durata, introdotte dal Governo Meloni con la Legge di Bilancio 2023. L’obiettivo sembrava essere quello della sua completa abolizione nel 2024. Ma sarà proprio così?

A chi spetta il reddito di cittadinanza quest’anno? Come si può ancora ottenere e fino a quando? Cosa succederà, una volta abolito? Abbiamo risposto a queste e molte altre domande che assillano i cittadini italiani, con Vincenzo Lauricella, dirigente sindacale USB Unione Sindacale di Base.

Cosa pensi, in generale, delle riforme in materia di lavoro contenute nella nuova Legge di Bilancio e, in particolare, sul Reddito di cittadinanza (Rdc)?

La direzione tracciata dal Governo Meloni, come già annunciato in campagna elettorale e ricorrente nelle formazioni di destra, è di stampo liberale. E, a tratti, liberista. L’idea di base è quella di “agevolare e non disturbare chi produce”. Questo è quanto ribadito a più riprese dalla Presidente del Consiglio nel corso dei suoi numerosi interventi.

È bene considerare, però, che chi produce e crea posti di lavoro, nel nostro Paese, non sempre è generatore di “buon lavoro”, anzi.  Troppo spesso, infatti, abbiamo constatato che il liberalismo, con il conseguente sbilanciamento delle politiche del lavoro a favore della sola parte datoriale, ha generato un progressivo arretramento delle condizioni di lavoro e delle tutele.

Fatta questa necessaria premessa, penso che la Legge di Bilancio da poco varata sia la rappresentazione e la traduzione del pensiero economico della corrente politica che oggi ci governa. Una classe che rappresenta i poteri economici forti: imprenditoria, comunicazione, editoria, energia, industria bellica.

La Manovra finanziaria 2023 riproduce, in altre parole, le istanze della classe imprenditrice che traduce in legge la propria visione. Le norme devono agevolare in maniera pressoché prevalente l’imprenditore, riconosciuto come parte dominante e virtuosa del sistema economico e capitalistico oggi vigente.

Per questa classe di politici, il soggetto da tutelare non è il Lavoratore, inteso come parte debole del rapporto, ma l’impresa che deve sostenere la propria attività nella maniera meno gravosa possibile, elasticizzando i limiti e ampliando le tutele, sempre in nome della tanto invocata competitività. Ed è per questo motivo che la Legge di Bilancio 2023, tra le sue novità, ne riporta alcune che rappresentano in modo emblematico questo pensiero.

 Sgravi fiscali e contributivi per i datori di lavoro

Diversi sono, infatti, i provvedimenti che prevedono sgravi fiscali e contributivi per i datori di lavoro, tra cui gli sgravi previdenziali per le assunzioni degli under 36 e per le donne oltre che una detassazione per i premi aziendali dal 10 al 5% per i destinatari con redditi fino a 80.000 euro.

Altro provvedimento, che sembra essere stato pensato per creare ulteriore precariato, è quello relativo alle prestazioni occasionali. Il Governo ha ben pensato di ampliare la soglia di prestazione da 5.000 a 10.000 euro annui. E concesso il ricorso a questa forma di lavoro atipica anche alle imprese che occupano fino a 10 dipendenti (prima il limite era di soli 5 dipendenti).

Questa misura, di fatto, porta giovamento alle sole imprese che potranno – come già fanno – retribuire i Lavoratori con queste forme alternative al più garantista contratto di lavoro subordinato. In altre parole, precarizzare il precariato.

Reddito di cittadinanza 2023

Indubbiamente, la più importante riforma contenuta nella Legge di Bilancio è l’attacco alla misura del Reddito di cittadinanza. Sussidio da sempre osteggiato dalla destra che già in campagna elettorale lo aveva esasperato con una narrazione distorta. La Legge finanziaria ne modifica l’accessibilità e la durata per arrivare, infine, alla sua abolizione dall’anno 2024.

In controtendenza con numerosi altri Paesi europei, nei quali la misura è presente e strutturale già da anni, e con importi economici di maggior rilevanza, il nostro Governo ha subito inteso sopprimere uno strumento di civiltà e di sostegno alle classi più svantaggiate.

Quali sono i nuovi requisiti per accedere al Rdc?

I requisiti definiti dalla nuova Legge di Bilancio per poter accedere alla misura di sostegno sono riassumibili in pochi punti:

  1. essere un cittadino italiano o europeo, o familiare di un cittadino italiano o europeo titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o soggiornante di lungo periodo, o titolare di protezione internazionale;
  2. essere residente in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in via continuativa;
  3. aver compiuto 18 anni;
  4. essere disoccupato o inoccupato;
  5. avere un ISEE inferiore a 9.360 euro l’anno;
  6. possedere un patrimonio immobiliare, diverso dalla prima casa di abitazione, fino ai 30.000 euro annui;
  7. possedere un patrimonio finanziario che non supera 6.000 euro. Con ulteriori adeguamenti per le famiglie con soggetti disabili e pensionati con redditi al di sotto della soglia di povertà;
  8. tutti i membri del nucleo familiare del richiedente non devono essere intestatari o avere la piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei 6 mesi precedenti la richiesta del RdC. Ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima nei 2 anni antecedenti alla stessa, esclusi i mezzi per i quali è prevista un’agevolazione fiscale a favore delle persone disabili;
  9. tutti i membri del nucleo familiare non devono essere intestatari e non avere la piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto di cui all’articolo 3, comma 1, del d.lgs. 18 luglio 2005, n. 171;
  10. non essere sottoposto a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, e non aver subito condanne definitive, nei dieci anni precedenti la richiesta di RdC, per uno dei delitti indicati negli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640 bis del Codice penale.

Non potrà richiedere il Reddito di cittadinanza (ma il nucleo familiare può richiederlo) un soggetto che risulta essere disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nel limite di 12 mesi successivi alla data delle dimissioni.

Eccetto che nel caso di dimissioni per giusta causa.

Quante famiglie perderanno il Rdc nel 2023?

La modifica alla durata massima del Reddito di cittadinanza, voluta e attuata dal Governo Meloni, inciderà sulla condizione economica di oltre 800.000 famiglie. In particolare, la maggior parte dei soggetti che perderanno tale misura sono i nuclei familiari composti da un unico soggetto e i giovani tra i 18 e 29 anni occupabili sulla carta, seppure senza impiego.

Al di là dei proclami politici della Presidente Meloni, che più volte ha motivato la sua scelta sostenendo di voler investire sul lavoro e non sui sussidi, resta il fatto che l’Italia oggi non produce lavoro di qualità. Sottrarre a 800.000 famiglie una così importante misura di sostegno, non potrà altro che accentuare il disagio economico e il rischio di povertà ormai dilagante nel nostro Paese.

Il nuovo Rdc porterà inevitabilmente a un maggior sfruttamento dei Lavoratori?

Il Reddito di cittadinanza, oltre ad essere una misura necessaria a garantire dignità alle fasce di popolazione in difficoltà, ha rappresentato un indispensabile strumento di difesa contro lo sfruttamento.

È innegabile – chi come me è impegnato con l’Unione Sindacale di Base lo sa bene – che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti negli ultimi trent’anni, firmati dai sindacati autoproclamatisi “maggiormente rappresentativi” e da altre organizzazioni “piratesche”, non garantiscono più condizioni di lavoro e tutele adeguate per i Lavoratori.

Il mercato del Lavoro è mutato. Alla stabilità e alle garanzie dello Statuto dei Lavoratori si è preferita la flessibilità, la mobilità che si è presto tradotta in precarietà. Come prima accennavo, le proposte economiche, figlie anche delle previsioni contrattuali, non riservano più paghe e salari soddisfacenti. Alcuni di esse sono state, perfino, dichiarate incostituzionali da numerosi Tribunali italiani.

È impensabile che dei Sindacati possano aver sottoscritto paghe incostituzionali, ma così è. Forse, continuerà ad accadere. Pertanto, la risposta alla domanda è: sì, la modifica e la successiva soppressione del Rdc spingerà ad un progressivo sfruttamento dei Lavoratori.

In questi anni, tralasciando i piagnistei di chef stellati e imprenditori che in Tv hanno denunciato la carenza di manodopera a causa del Rdc, il sussidio ha permesso a migliaia di Lavoratori di rifiutare offerte di lavoro scandalose che prima sarebbero stati costretti ad accettare.

Nel corso degli ultimi anni, centinaia sono state le denunce che, come USB, abbiamo portato avanti per segnalare le condizioni disumane che in passato (ma anche oggi) sono costretti a vivere i Lavoratori e le Lavoratrici dei settori della ristorazione, del settore agroalimentare, della vigilanza privata, delle pulizie e multiservizi e, finanche, della cultura.

Il lavoro nella ristorazione e nel settore alberghiero è da sempre caratterizzato da turnazioni di 12 e più ore consecutive al giorno. Senza pause e con paghe orarie di soli 3 euro, senza nemmeno la previsione di riposi settimanali. Non differente è il settore dell’agricoltura e del bracciantato in cui il caporalato fa da padrone. Nei campi si applicano le più indegne condizioni di sfruttamento, fino ad arrivare a vere e proprie situazioni di schiavitù: decine di ore al giorno senza riposo e in condizioni ambientali proibitive.

Lavoratori e Lavoratrici costretti a vivere nei ghetti (come quelli denunciati da USB nelle regioni del Sud d’Italia) nei quali sono assenti le più elementari forme di civiltà. Per giungere, infine, allo sfruttamento dei Lavoratori contrattualizzati, ma resi poveri dai contratti collettivi e dagli accordi che prevedono poco più di 3-4 euro netti l’ora.

Il Reddito di cittadinanza ha consentito a tutti questi soggetti di rifiutare proposte inadeguate ed è servito come agente regolatore nel contrasto allo sfruttamento. Il Rdc ha, di fatto, colmato l’inefficienza degli Organi di Vigilanza, dei Sindacati confindustriali e della politica. Il suo effetto non è stato gradito dalla classe imprenditoriale che, per il tramite della propria rappresentanza politica oggi al Governo, ha voluto immediatamente attaccarlo per ripristinare il proprio dominio sul mondo del lavoro.

L’Unione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti del governo italiano perché all’interno della legge sul Reddito di cittadinanza sono state inserite limitazioni in contrasto con le direttive europee. Cosa ne pensi?

Purtroppo, non è la prima volta che l’Italia è destinataria di richiami all’osservanza dei dettami comunitari. Sono ben 83 le procedure d’infrazione che sono state aperte nei confronti del nostro Paese e 22 sono relative ad Affari economici e finanziari, Lavoro e politiche sociali, Concorrenza e aiuti di Stato.

Tra queste infrazioni, abbiamo anche quella relativa al Reddito di cittadinanza. L’Europa, nel dettaglio, contesta che la normativa – nella parte relativa ai requisiti per l’accesso al sussidio – è discriminante. Ciò poiché la previsione del requisito di dieci anni di residenza nel nostro Paese non consentirebbe ai cittadini di altri Stati, nonché residenti stabilmente in Italia, di accedere allo strumento in questione.

Per la Commissione Europea il requisito dei dieci anni di residenza si qualifica come discriminazione indiretta. Ciò poiché è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio. Inoltre, si potrebbe determinare anche il caso in cui gli stessi cittadini italiani, trasferitisi all’estero per un periodo più o meno lungo, non rispettino il requisito imposto dalla norma.

Insomma, al verificarsi di questi “pasticci” normativi ci si domanda se effettivamente l’Italia ambisca a una completa adesione alla Comunità o se i venti di nazionalismo prenderanno il sopravvento.

Se la Comunità Europea è stata incentrata da sempre sul principio di libero scambio e libera circolazione, allora, il legislatore dovrebbe tenerne davvero conto. Circostanza che, viste le numerose e continue procedure d’infrazione, non sembra ricoprire la priorità dei nostri burocrati.

Come dovrebbe funzionare un Rdc veramente efficace? Detto in altri termini, anziché depotenziarlo o toglierlo, come si potrebbe migliorare il sussidio?

Credo che una misura economica utile a garantire un’esistenza dignitosa ad ogni individuo sia quantomai necessaria. Soprattutto, nel sistema economico in cui viviamo nel quale il divario tra la classe ricca e la classe povera è sempre più evidente.

Oggi in Italia oltre 5,6 milioni di soggetti versano in una condizione di povertà assoluta e ben 2,6 milioni di famiglie vivono in condizione di povertà relativa. 

Per questo motivo, il sussidio andrebbe ripensato profondamente. Più che una misura provvisoria, si dovrebbe pensare a un Reddito Universale permanente. Uno strumento utile a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari. Queste soluzioni, queste ipotesi, vengono sempre tacciate e classificate come “assistenzialismo” che “non fanno bene al mondo del lavoro”, ma solo ai fannulloni.

Penso che l’assistenzialismo non possa, in alcun modo, avere un’accezione negativa. Assistere è sinonimo di aiuto, di sostegno. E il solo fatto che questa propensione possa essere vista come un’azione negativa, ci fa capire il grado di sensibilità che hanno certi politici.

Sostenere chi ha bisogno non significa regalare denaro, significa aiutare.  Se oggi è necessario ricorrere ad una misura di sostegno per salvare dalla povertà milioni di persone è perché il sistema economico attuale ha fallito.

Se nel XXI secolo c’è ancora gente che non ha una casa e non si può permettere il minimo vitale, tanto da dover ricorrere ad un sostegno statale, allora il sistema ha fallito. Un lavoratore costretto ad accettare 3 euro l’ora per lavorare nelle campagne o nelle cucine delle più note località turistiche, è un fallimento. Lo è altrettanto se un lavoratore regolarmente assunto guadagna 4 euro netti l’ora, perché lo prevede il CCNL.

Proprio in questi giorni, sto leggendo un libro di Jack London dal titolo “Il Tallone di Ferro”. Mi ha fatto molto riflettere sulla contrastante condizione di benessere e povertà che viviamo. Nel romanzo, ambientato nella prima decade del ‘900, l’autore sembra già prevedere i nefasti risultati del sistema capitalistico e dello sfruttamento del capitale sull’uomo. In un preciso passaggio, l’autore evidenzia come, grazie all’utilizzo della scienza e delle macchine, l’uomo sia diventato mille volte più produttivo rispetto ai tempi passati.

Ciononostante, questa evoluzione della scienza e della tecnica non sono state in grado di garantire cibo, vestiti e casa ad ognuno. È ciò che accade anche oggi. L’autore aveva già colto le contraddizioni di un sistema in cui chi è alla testa della piramide sociale può beneficiare dell’evoluzione. Arricchendosi sempre di più, a danno di chi rimane alla base.

Pensare che oggi, a cento anni da quello scritto, a milioni di persone continui a mancare il cibo e una casa, ci fa capire quanto siano necessari strumenti come il Reddito di cittadinanza. O la nuova misura di cui oggi si sta parlando o il Reddito Universale.

La previsione di un sostegno universale rappresenterebbe un freno concreto alla deriva capitalista. Fungerebbe quale limite minimo anche per i salari che non potrebbero, di certo, prevedere una paga inferiore al reddito. Un sussidio, ma con funzione di sostegno al salario.

Quindi, per rispondere alla domanda, servirebbe un reddito minimo garantito per tutti coloro che non trovano occupazione. Un sistema strutturato che preveda, durante lo stato di disoccupazione, una formazione finalizzata alla crescita professionale. Questo per preparare l’accesso o la ricollocazione nel mondo del lavoro con dei salari attrattivi.

Molti potrebbero domandarsi dove trovare le risorse per una previsione di tale portata. È semplice, nel taglio dei tanti costi superflui a beneficio di pochi e lotta all’evasione fiscale. Mentre i politici al Governo denunciano le truffe legate al Rdc, poco o nulla dicono sugli oltre 90 miliardi l’anno che vengono sottratti alle casse dello Stato a causa dell’evasione fiscale. Che non viene adeguatamente contrastata. Basterebbe sanare questa piaga per garantire una vita dignitosa a milioni di persone. Le modalità e le risorse possono essere reperite. La vera domanda è se si vuole fare davvero qualcosa per sconfiggere la povertà.

Infine, è possibile rivolgersi al sindacato per maggiori tutele e informazioni per il Rdc? Come?

Certamente sì. USB è parte attiva nelle lotte per la rivendicazione dei diritti sociali e della giustizia sociale. Come Organizzazione, vogliamo farci portavoce di quella parte di società che oggi soffre le contraddizioni di un sistema economico che ha mostrato il suo tracollo.

Inoltre, tuteliamo i Lavoratori e le Lavoratrici del Pubblico Impiego e delle diverse categorie del Privato, per mezzo di diverse strutture. ASIA per il diritto alla casa; ABACO per la tutela dei Consumatori e RETE ISIDE per la sicurezza sui luoghi di lavoro.

Quindi, anche in merito al Reddito di cittadinanza e alle sue varianti come la MIA, per avere tutte le informazioni necessarie ci si può rivolgere al Sindacato. Visitandoci in oltre cento sedi nazionali o contattandoci tramite i nostri canali di comunicazione tradizionali e social.

 

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