La corsa agli sportelli all’epoca di Twitter, ecco com’è fallita Silicon Valley Bank

Silicon Valley Bank è stata la banca delle startup in criptovalute ed è rimasta vittima di una corsa agli sportelli nell'era moderna.
2 anni fa
3 minuti di lettura
Corsa agli sportelli e fallimento SVB

Fino a pochi giorni fa, nessuno avrebbe immaginato che Silicon Valley Bank (SVB) sarebbe rimasta vittima di una corsa agli sportelli capace di provocarne il fallimento. Sedicesima banca americana per asset detenuti – oltre 210 miliardi di dollari – aveva come clienti le startup attive sul mercato delle criptovalute. Era tra gli istituti più “trendy” della Silicon Valley, avendo abbracciato un’agenda “woke” e molto sensibile alle tematiche “gender”. I suoi dirigenti probabilmente non avevano messo in conto che sarebbero stati spazzati via proprio dalle nuove tecnologie.

Quando parliamo di corsa agli sportelli, pensiamo a qualche immagine in bianco e nero che ritrae una folla che spinge per entrare in una filiale bancaria per prelevare il proprio denaro. Non importa che la paura sia fondata, irrazionale o frutto di bufale; basta che si diffonda e il fallimento della banca è garantito. Anzi, a rischio vi è l’intero sistema bancario, dato che la paura è per definizione contagiosa.

Tuttavia, non abbiamo immagini simili del crac di SVB. Eppure la corsa agli sportelli c’è stata. In un giorno, risultano essere stati ritirati 42 miliardi di dollari di liquidità sui 173 miliardi di depositi esistenti. Il crac è stato accentuato proprio dalle caratteristiche dei clienti della banca: essendo nuove società di criptovalute, sono solite “bruciare” cassa nelle fasi iniziali di attività. A maggior ragione in un periodo negativo come questo per il comparto, hanno bisogno di liquidità. Tra l’altro, i depositi non risultavano garantiti nel 93% dei casi, essendo superiori alla soglia di 250.000 dollari.

Corsa agli sportelli sui social

Già a metà gennaio su Twitter vi era stata un’ondata di messaggi negativi all’indirizzo di SVB per via delle condizioni finanziarie della banca. A febbraio, l’analista finanziario Byrne Hobart aveva acceso nuovamente i fari con una newsletter seguitissima, nella quale sosteneva che “nessuno vuole sembrare paranoico ritirando il proprio denaro dalla banca, ma altresì nessuno vuole affrontare le conseguenze dell’essere rimasto l’ultimo a farlo”.

Quando una settimana fa, SVB dichiarava perdite nel primo trimestre di quest’anno per 1,8 miliardi di dollari a causa della vendita di un portafoglio obbligazionario, analisti e clienti hanno fatto due più due. Ne hanno dedotto che la banca aveva mal gestito l’enorme crescita della liquidità nel biennio passato, investendo ingenti risorse in bond a lunga scadenza. Questi hanno perso valore con il maxi-rialzo dei tassi d’interesse. A quel punto, le voci critiche sui social di questi ultimi due mesi scarsi venivano rivalutate.

La corsa agli sportelli non è avvenuta in maniera tradizionale. Non possiamo ignorare che nell’era di internet la paura corra tra i bit di un dispositivo mobile. Con un semplice clic è ormai possibile chiudere un conto bancario o spostarne le giacenze altrove. Così hanno fatto le società clienti di SVB. Nessuna fila, niente urla e pianti disperati dinnanzi a una qualche filiale. E questo da un lato riduce i rischi emotivi, perché nessuno vede fisicamente gli altri andare nel panico. Dall’altro lato, però, risulta molto più facile smobilizzare tutti i propri risparmi in pochi attimi senza neppure spostarsi da casa.

Differenze e analogie con Lehman

Rispetto a Lehman Brothers, qui siamo al paradosso che la banca fallita aveva investito in asset tutt’altro che rischiosi. Essenzialmente, aveva acquistato titoli di stato, cioè aveva fatto l’investimento della nonna. Ad essere andato storto è il timing delle scelte: SVB ha comprato bond a lunga scadenza a tassi molto bassi, il contrario di quello che si dovrebbe fare. Evidentemente, nessuno dei suoi dirigenti si aspettava un’impennata dei tassi nei mesi successivi. Scarsa previdenza, certo, ma anche imprevedibilità delle banche centrali dopo la lunga era del denaro facile a interessi zero.

Certo che se uno sceneggiatore avesse dovuto scegliere il nome della banca da far fallire in un film, non avrebbe potuto trovare qualcosa di più iconico. Silicon Valley è quanto di più associato alle nuove tecnologie, allo sviluppo rapido e impetuoso di realtà che da piccole diventano giganti mondiali. E’ stato nell’ultimo quindicennio l’emblema del successo americano, di certo progressismo culturale inarrestabile e oggetto di invidia nel resto del mondo. L’altra faccia della medaglia sta nelle modalità di tale crescita: denaro facile e a bassissimo costo da prendere a prestito per investire e innovare. Una bolla alimentata dalle banche centrali e apparentemente scoppiata. In ciò sta il legame con Lehman nel 2008. Allora come oggi, la facilità di accesso alla liquidità a basso costo ha creato le premesse per una cattiva allocazione del capitale.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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