Si torna a parlare di completamento dell’unione bancaria. L’Eurogruppo di mercoledì a Bruxelles ha ripreso il dibattito su un tema che era finito nel dimenticatoio da anni tra pandemia e guerra. Il presidente Paschal Donohoe ha scritto una lettera al presidente del Consiglio dell’Unione Europea, Charles Michel, per chiedere di accelerare sull’unione del mercato dei capitali attraverso la previsione di una garanzia unica sui depositi bancari. Ha fatto presente che l’Area Euro si è mostrata resiliente in un periodo molto difficile, ma ha ammesso che questo non sarebbe il momento di auto-compiacersi.
Il negoziato sulla garanzia unica sui depositi bancari è in stallo. I paesi del Nord Europa si mostrano contrari, sebbene negli anni qualche passo in avanti sia stato compiuto. Ad esempio, già l’anno prossimo debutterà la terza fase dell’EDIS (European Deposit Insurance Scheme), in base alla quale entro il 2024 saranno garantiti depositi bancari fino a 100.000 euro per un controvalore complessivo di 50 miliardi di euro, pari allo 0,80% del totale. Ancora troppo poco.
Timori dopo crisi banche USA e Credit Suisse
Qual è il problema? In caso di crisi del sistema bancario, c’è il rischio che la disparità di trattamento sui depositi bancari tra gli stati membri alimenti instabilità finanziaria all’interno della UE. Per questo, tuttavia, dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008 è stata già prevista una garanzia minima sui conti fino a 100.000 euro. E ad oggi risulta che tutti gli stati tutelino i rispettivi risparmiatori fino a quel livello, non di più. Dunque, il problema sembra che non si porrebbe. Date le garanzie perfettamente uguali tra Italia, Francia, Germania, Spagna, Olanda, ecc., perché mai i capitali dovrebbero defluire da uno stato all’altro?
La crisi bancaria negli Stati Uniti ci aiuta a capire di più. Pochi giorni fa, qui le autorità finanziarie e il governo federale hanno garantito tutti i depositi bancari fino a 250.000 euro, sopra la soglia legale dei 100.000 dollari.
Dunque, il problema non sarebbe la garanzia unica sui depositi bancari in sé, già esistente. C’è scarsa fiducia tra i governi circa una risposta comune a una possibile crisi. D’altra parte, perché gli stati del Nord dovrebbero mostrarsi contrari? Il punto è che questo schema comune funzionerebbe come un sistema assicurativo. Le banche stesse pagherebbero in percentuale ai propri depositi bancari tutelati, alimentando in misura crescente il fondo europeo al posto di quello nazionale. In questo modo, però, la Germania teme che i soldi delle banche tedesche possano finire per salvare qualche banca del Sud, per esempio italiana.
Baratto su garanzia unica depositi bancari
Una prudenza a dir poco stucchevole, dato che sinora le banche più traballanti sono state sempre quelle del Nord. Si pensi a Deutsche Bank, che dopo Credit Suisse rischia di tornare nel mirino della speculazione internazionale. In ogni caso, Berlino e i suoi alleati di Olanda, Svezia, Finlandia e Austria, solo per limitarci ai principali, chiedono in cambio la fine del “doom loop”. Le banche devono detenere minori quantità di titoli di stato emessi dai paesi in cui hanno sede. In questo modo, eventuali crisi del debito sovrano avrebbero effetti limitati sui sistemi bancari. È qui il vero cruccio dei “frugali”. Temono che prima o poi le banche italiane, spagnole e finanche francesi saltino in aria per effetto delle forti esposizioni ai bond sovrani dei loro paesi.
Forse non è un caso che questa settimana Andrea Enria sia stato mandato in avanscoperta. Il capo della Vigilanza alla Banca Centrale Europea ha fatto appello all’Europarlamento, affinché le banche valutino in misura maggiore i titoli di stato in portafoglio ai prezzi di mercato, se rientranti negli indici di liquidità. Che dietro vi siano i tedeschi per prepararsi a un baratto sulla garanzia unica sui depositi bancari? In questi termini, il gioco rischia di non valere la candela. L’Italia riceverebbe benefici per il momento solo ipotetici, dovendo in cambio accusare gli effetti senz’altro negativi di una minore domanda di BTp da parte delle banche domestiche. Siamo arrivati al punto da considerare i titoli di stato asset più tossici di quelli “spazzatura” detenuti perlopiù dagli istituti nordeuropei con inclinazioni maggiormente speculative sui mercati.