In Italia i lavoratori che vanno in pensione a 67 anni non sono molti. Fra scivoli di vario genere, uscite anticipate, assegni di invalidità e assistenza varia, l’età media di uscita dal mondo del lavoro è inferiore a 62 anni.
A contribuire ad abbassare l’età pensionabile è stata soprattutto Quota 100, durata 3 anni, e che ha mandato in pensione a 62 anni decine di migliaia di lavoratori pubblici e privati. Seguono Quota 102 e da quest’anno Quota 103, senza tralasciare Ape Sociale (in pensione a 63 anni) e Opzione Donna (uscita fino a 58 anni).
Una pensione su due è anticipata
A confermare questa tendenza è l’Inps. In base ai dati elaborati dall’Osservatorio sulle pensioni al 1 gennaio 2023, emerge che una pensione su due è anticipata rispetto ai 67 anni previsti dal requisito di vecchiaia. Numericamente sono 5 milioni i trattamenti previdenziali in deroga. Essi sono in netta prevalenza rispetto a quelli di vecchiaia (solo il 18% del totale), per una spesa totale di 125 miliardi di euro.
Il grosso arriva dalla gestione dei lavoratori dipendenti: oltre 3,3 milioni di assegni, ai quali si aggiungono quelli delle gestioni dei lavoratori autonomi (più di 1,7 milioni). Tre su quattro, poi, sono riservate agli uomini e circa un terzo alle donne. Solo un quarto dei trattamenti è di natura contributiva, mentre il resto di natura anche o solo assistenziale.
Tirate le somme, si evince come in Italia, nonostante la riforma Fornero del 2012 si sia continuato ad andare in pensione prima dei 67 anni. Molto prima. Grazie agli scivoli e a Quota 100 sono state bypassate le rigide maglie della riforma di 11 anni fa. E ancora oggi si stanno cercando nuovi escamotage per farlo. In questo senso, gli italiani sono più bravi dei francesi a mescolare le carte pur facendo le riforme pensioni chieste da Bruxelles.
I dati Ocse
Secondo l’Ocse, nel 2020, l’età media di uscita dal mercato del lavoro in Italia era di 61,8 anni.
Cosa significa questo? In realtà, nel primo dato sono compresi tutti i lavoratori che lasciano il lavoro prima senza andare in pensione, ma beneficiando di trattamenti previdenziali pubblici o privati simili alla pensione. Ci riferiamo per l’esattezza agli scivoli, cioè ai contratti di espansione, all’isopensione ai contratti di solidarietà. Ma anche ad Ape Sociale e agli assegni ordinari di invalidità.
Tutto questo contribuisce ad abbassare l’età media della pensione, almeno vista dagli occhi esterni dell’Ocse. L’organizzazione che esamina i dati solo dal punto di vista della cessazione dell’attività lavorativa. Ma che implica comunque un certo grado di assistenza da parte dello Stato verso i lavoratori, anche se non si può dire che siano formalmente in pensione.