La pensione dei docenti sarà sempre più bassa. Anche a fronte degli aumenti contrattuali attesi per il triennio 2019-2021. E di quelli successivi. Il che sta facendo riflettere molto, sia lo stesso corpo docente che le organizzazioni sindacali.
Come noto, l’entrata a regime del sistema di calcolo contributivo metterà a dura prova il comparto scolastico. Al punto che oggi, insegnare non è più così gratificante dal punto di vista economico come lo era in passato. E i motivi sono diversi, non solo quelli legati al calcolo della pensione futura.
La pensione futura degli insegnanti
Ma andiamo per ordine e facciamo un esempio pratico. In passato un docente che guadagnava 1.900 euro al mese, con 40 anni di contributi, andava in pensione con 1.700 euro al mese. Oggi, a parità di retribuzione, quindi a fine carriera, ci va con 1.400 euro al mese. Fra dieci anni, cioè quando sarà entrato a regime il sistema di calcolo contributivo, ci andrà con 1.100 euro al mese.
Si tratta di conti della serva, ben inteso, ma che non si discostano molto dal concreto. In sostanza qui vale la pena spiegare come il tasso di sostituzione fra ultima busta paga e primo cedolino di pensione tenda a scendere progressivamente nel tempo. La tendenza è quella di un target del 65-68%. Vale a dire che la pensione sarà circa due terzi dell’ultimo stipendio da insegnante.
E questo considerando una carriera piena e continua. Cioè, non costellata da interruzioni o da vuoti come spesso accade per il corpo docente che fra, precariato, graduatorie, immissioni in ruolo e deroghe è spesso costretto a percorsi lavorativi difficoltosi. Oltre che a sacrifici dovendosi magari recare lontano da casa per lavorare. O a riscattarsi il periodo di studi universitari per centrare i requisiti contributivi.
Stipendi troppo bassi
Fare il professore è quindi diventato un mestiere stressante, oltre che sempre meno conveniente, non sempre riconosciuto dalla legge.
E per questo motivo anche le pensioni future saranno basse poiché commisurate alla retribuzione. Nemmeno i 120 euro medi di aumenti in arrivo per il rinnovo del contratto scaduto serviranno più di tanto a colmare il gap coi colleghi europei. In Italia, secondo affermati studi di ricerca, lo stipendio lordo parte da un minimo di 24.300 euro per arrivare a un massimo di 40.600 euro a fine carriera.
In Francia si va da un minimo di 26.800 euro a un massimo di 50.500 euro. E lo stesso vale per la Spagna, che resta comunque sopra i livelli italiani. Il minimo della retribuzione è pari a 31.000 euro e il massimo a 49.300 euro. Per non parlare della Germania dove lo stipendio di un insegnante è più del doppio di quello italiano. Si parte da 54.000 euro per arrivare fino a 85.000 euro all’anno.