L’oro è tornato sopra la soglia dei 2.000 dollari l’oncia questa settimana. L’ultima volta che era salito sopra di essa era stata all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina. Per gran parte dello scorso anno, malgrado l’esplosione dell’inflazione in quasi tutte le economie avanzate, i prezzi avevano deluso le aspettative. Il contestuale boom dei rendimenti obbligazionari, infatti, aveva fatto enorme concorrenza a un asset tipicamente sprovvisto di cedole. Se c’è un vantaggio dell’oro, è che esso nel lungo periodo tende sempre a conservare il potere di acquisto dei capitali investiti.
Il ritorno dell’oro sopra 2.000 dollari l’oncia non è un bel segnale per l’economia mondiale. Indica che c’è tensione sui mercati. A parte la crescente distanza tra Stati Uniti e Cina, c’è il rischio di una recessione economica per la prima. Ciò porterebbe al taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve e già da settimane i rendimenti sovrani sono collassati sul mercato americano e anche in Europa. La crisi bancaria ha scatenato la corsa ai “safe asset” per il timore che le condizioni finanziarie si aggravino con il prosieguo della stretta monetaria globale. Proprio questo trend calante dei rendimenti sta sostenendo le quotazioni dell’oro.
Oro asset difensivo
Per capire l’importanza di avere sempre in portafoglio un asset come il metallo giallo, vi abbiamo proposto un esempio. Esso è relativo all’andamento dei prezzi aurei e al consumo negli ultimi 50 anni in Italia. Parliamo del periodo che parte dal 1973 ad oggi. E, per coincidenza, il 1973 segna l’anno dell’inizio della stagflazione nel mondo ricco. La crisi petrolifera provocata dall’embargo dell’OPEC ai danni dell’Occidente fece schizzare i tassi d’inflazione, decimando negli anni a seguire il potere di acquisto di nordamericani ed europei.
In Italia, nell’ultimo mezzo secolo l’inflazione cumulata è stata del 1.673% per l’ISTAT. Ciò corrisponde a un tasso d’inflazione annua del 5,9%. Immaginate se agli inizi del 1973 avessimo comprato un kg di oro. Avremmo speso circa 1 milione 230 mila lire, corrispondenti al tasso di cambio di allora a 2.090 dollari. Secondo il cambio fissato alla fine degli anni Novanta di 1.936,27, quell’investimento sarebbe stato pari a poco più di 634 euro. Rivendendo oggi l’oro, incasseremmo sui 64.565 dollari, cioè 59.125 euro al cambio attuale di oltre 1,09. Il nostro capitale sarebbe lievitato di oltre 93 volte e il rendimento annuo medio sarebbe risultato del 9,5%.
Protezione contro crisi del cambio
Pertanto, l’oro avrebbe non solo tutelato il nostro investimento dall’erosione dell’inflazione, ma avrebbe offerto anche un rendimento reale del di quasi il 3,60% all’anno. Infatti, il milione e 230 mila lire investito 50 anni fa corrisponderebbe oggi, considerata l’inflazione, a circa 11.245 euro. Grazie all’oro, avremmo in portafoglio più di 59.000 euro. Il metallo ci avrebbe protetto anche dal collasso della lira contro il dollaro durato da inizi anni Settanta fino a metà anni Novanta. Prima del passaggio all’euro, infatti, il dollaro scambiava contro 1.660 lire, mentre agli inizi del 1973 il cambio era di neppure 590.
Questa è la ragione per cui nelle economie emergenti con alti tassi d’inflazione e alle prese con problemi di instabilità del cambio, la corsa all’oro dei cittadini è una costante. Lo conferma quando sta accadendo con il crollo della lira turca, il quale alimenta le importazioni record di oro dal resto del mondo verso Ankara, principalmente dall’hub svizzero. Ignorare questo fatto storico assodato è un grave errore per chi investe. L’oro non passa mai di moda e si rivela l’unico asset affidabile in tempi di crisi.