Grande confusione tra gli stessi analisti circa le sorti a breve del mercato obbligazionario. Venerdì scorso, l’agenzia S&P confermava il rating per i titoli di stato italiani a BBB con outlook stabile. Lodava la prudenza fiscale dei primi mesi del governo Meloni, sebbene avvertisse sui rischi di una minore crescita dell’economia italiana per le mancate riforme legate al PNRR. Per Goldman Sachs, invece, i BTp sono da vendere, intravedendo uno spread a 235 punti base a fine anno.
Che la BCE alzerà i tassi d’interesse a inizio maggio, è cosa certa. L’unico dubbio rimane sull’entità dell’ennesima stretta: 25 o 50 punti base? E che potrebbe continuare ad alzare i tassi anche a giugno e forse luglio, resta probabile. L’inflazione è sì scesa dai massimi dell’autunno passato, ma restando al 6,9% a marzo. Il target ufficiale è del 2%. Inoltre, al netto dell’energia e degli alimentari continua a salire, portandosi al record del 5,7% a marzo. Più i tassi d’interesse saliranno, peggio per il mercato obbligazionario. Sarebbe uno scenario particolarmente negativo per i titoli di stato italiani, in quanto un costo del denaro più alto crea apprensione sui mercati sulla sostenibilità del nostro debito pubblico.
Titoli di stato legati a trend inflazione
Dunque, più forte e duratura la stretta della BCE, maggiori gli spread reclamati dal mercato per acquistare i nostri titoli di stato. Se avesse ragione Goldman Sachs, da qui a fine anno assisteremmo ad un aumento del differenziale di rendimento di mezzo punto percentuale.
Anche il petrolio sta facendo la sua parte nel contesto di graduale disinflazione in corso. In aprile, le quotazioni del Brent segnano una contrazione media rispetto ad un anno da di oltre il 20%. La risalita del cambio euro-dollaro sopra quota 1,10 contribuisce ad attenuare i costi dell’energia importata dall’estero. E’ vero che la BCE porrà grande attenzione all’inflazione “core”, ma le decisioni future sui tassi sarebbero tutt’altro che scontate. E per i titoli di stato italiani tutto quello che porterà a una stretta meno vigorosa sarebbe una buona notizia.
Si consideri che le banche centrali hanno tremato a marzo quando sono fallite due banche americane, una terza è stata salvata e in Svizzera si è arrivati ad un passo dal crac di Credit Suisse. I rialzi dei tassi dovranno tenere in considerazione questo scenario tendenzialmente avverso agli istituti di credito. Brutto a dirsi, ma se qualche altra banca scricchiolasse, a quel punto i governatori si inventerebbero qualcosa per giustificare lo stop alla restrizione monetaria. E non dobbiamo escludere affatto che accada, stavolta in Europa. L’irrobustimento del Quantitative Tightening dopo giugno non è certo come sembra.