Il Documento di economia e finanza (Def) ha aggiornato, fra le altre cose, la previsione sui costi della previdenza per il 2023 e seguire. Costi che sono destinati a salire malgrado la stretta imposta quest’anno all’indicizzazione delle pensioni all’inflazione.
Nel Def viene stimata una crescita della spesa per pensioni dai 297,3 miliardi del 2022 a 320,8 miliardi alla fine di quest’anno. E a 349,7 miliardi nel 2025. L’incidenza sul Pil dovrebbe essere del 16,4% contro il 15,7% del 2022. Previsione che non consente l’immediato ricorso a forme di revisione dell’assetto pensionistico attuale.
Pensioni militari sempre più basse
In questo contesto vi sono anche le preoccupazioni per le pensioni del personale militare e delle forze dell’ordine. Non tanto per l’età di uscita dal servizio che, come noto, avviene prima rispetto alla generalità dei lavoratori. Quanto per l’importo dell’assegno che tende sempre più verso il basso.
Questo perché, in base alla riforma Dini, il calcolo della pensione avviene sempre più col sistema contributivo e meno con quello retributivo. Fra una decina d’anni, poi, quando le pensioni saranno calcolate per tutti col sistema contributivo puro, se ne percepiranno gli effetti più duri.
In altre parole, secondo le stime, andando in pensione a 60 anni di età si percepirà una pensione inferiore del 10,5% rispetto alla generalità dei lavoratori che lasceranno il lavoro a 67 anni, a parità di stipendio e contribuzione,
E questo senza tenere in considerazione i conti delle rendite di anzianità dei militari (58 anni di età con 35 di contributi) per le quali si prevede una rendita simile a quella calcolata oggi con Opzione Donna.
Riforme al palo
Per capire meglio il problema bisogna sapere che militari e poliziotti vanno in pensione, nella maggior parte dei casi, al raggiungimento dell’età ordinamentale prevista per la pensione di vecchiaia. A partire, dunque, da 60 anni.
Non potendo però scegliere quando ritirarsi dal servizio, militari e poliziotti sono costretti ad accettare una pensione striminzita non potendo raggiungere coefficienti di trasformazione più alti. A compensare la perdita rispetto alla generalità dei dipendenti pubblici interviene il fondo di perequazione, a carico dello Stato, le cui risorse sono però limitate.
Si è parlato molto della riforma Gasparri e Graziano per modificare il calcolo della pensione, ma anche di alzare l’età ordinamentale a 62 anni in conseguenza dell’innalzamento dell’aspettativa di vita. Cosa quest’ultima che non trova, al momento, nessun riscontro effettivo in ambito parlamentare.