Sempre più su il prezzo dell’oro, che nella seduta di ieri è salito ai nuovi massimi storici, segnando 2.072 dollari per un’oncia. E’ stato così battuto il precedente record dello scorso anno, registrato a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina. Il boom è arrivato all’indomani di quello che con molta probabilità è stato l’ultimo rialzo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti. Il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha annunciato una pausa per giugno. E così il dollaro è tornato ai minimi da oltre un anno contro le principali valute mondiali.
L’indebolimento del dollaro fa bene al prezzo dell’oro, che è fissato proprio nella divisa statunitense sui mercati internazionali. Ma non è l’unica ragione del boom. Mentre Powell sospende nei fatti la stretta monetaria, negli Stati Uniti divampa la crisi bancaria. Le convulsioni in borsa di PacWest, a caccia di un acquirente, potrebbero provocare il quarto fallimento di un istituto di credito nel giro di un paio di mesi. Solo pochi giorni fa era arrivato il salvataggio di First Republic Bank con l’acquisizione di JP Morgan.
Copper/Gold Ratio indice di paura
Il prezzo dell’oro tende, poi, ad essere correlato negativamente con i rendimenti obbligazionari globali. E il T-bond a 10 anni è sceso sotto il 3,40% da quasi il 4,07% di due mesi fa. Il metallo brilla agli occhi degli investitori, dato che le alternative si stanno facendo meno convenienti. E dire che per il World Gold Council la domanda è stata in forte calo nel primo trimestre: -13% annuale a 1.081 tonnellate. Sempre alta, comunque, da parte delle banche centrali: 228 tonnellate, ai massimi dal 2000. Nell’intero 2022, avevano acquistato 1.087 tonnellate, un dato record.
Ma la domanda è destinata a rimanere tonica nei prossimi trimestri. Il prezzo dell’oro dovrebbe continuare a salire verso nuovi massimi storici, trainato dall’ulteriore indebolimento del dollaro, dal calo dei rendimenti globali e dai timori per l’economia mondiale.
Prezzo oro con margini di crescita
Il grafico di cui sopra ci segnala che negli ultimi mesi il rapporto tra i due metalli è sceso del 15%. Ciò capterebbe la paura sui mercati, in coincidenza con un possibile rallentamento dell’economia mondiale. In particolare, il principale timore sarebbe l’ingresso in recessione degli Stati Uniti. Tra l’altro, le tensioni con la Cina non aiutano. Non solo lasciano prefigurare ritorsioni finanziarie e commerciali reciproche tra superpotenze, ma finiscono per accelerare i piani di dedollarizzazione in Asia del blocco anti-occidentale guidato proprio da Pechino. Un’impresa assai ardua, ma che per il momento si traduce in acquisti di oro da parte delle banche centrali per rafforzare le garanzie a favore delle rispettive valute.
Probabile che la minore domanda nel primo trimestre sia stata legata al balzo dei rendimenti globali. Ora che questi si sono o stabilizzati o marcatamente scesi dai massimi dei mesi passati, il prezzo dell’oro avrebbe un’autostrada davanti. Anche perché i rendimenti reali restano negativi, cioè inferiori agli attuali tassi d’inflazione. Solo una discesa marcata di questi ultimi li farebbe tornare in territorio positivo per il tratto medio-breve della curva.