Lo stigma del MES e l’ideologia tutta italiana di ratificare tutto ciò che desiderano i partner europei

La premier Giorgia Meloni ha confermato la linea dura sulla mancata ratifica del MES. Prima vuole vedere la riforma del Patto di stabilità.
1 anno fa
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Ratifica MES, linea dura della premier Meloni

L’Italia non provvederà al più presto alla ratifica della riforma sul MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Lo ha confermato la premier Giorgia Meloni durante l’intervista concessa a Bruno Vespa al forum pugliese da questi organizzato presso la sua masseria. “Sarebbe stupido parlarne ora”, ha spiegato, aggiungendo che prima intende verificare quali siano le condizioni previste da un’altra riforma: quella del Patto di stabilità e di crescita. Sulla proposta avanzata dalla Commissione europea, ha spiegato, non è del tutto convinta.

La premier vorrebbe, ad esempio, che dal computo del deficit fossero scorporati gli investimenti pubblici, specie legati alla transizione energetica.

Meloni avverte: c’è effetto stigma

Le parole di Meloni sono una doccia fredda per i partner europei. Da mesi s’intensificano le pressioni sul ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, da parte dei colleghi del’Eurogruppo. L’Italia è rimasta l’unico stato membro dell’Unione Europea a non avere ratificato la riforma del MES. Essa prevede un backstop al Fondo di risoluzione bancario, così da garantire risorse più adeguate nel caso in cui una banca dovesse chiedere assistenza finanziaria durante una crisi. Allo stesso tempo, semplifica e agevola i processi di ristrutturazione del debito pubblico. Anziché il doppio voto in due assemblee separate, agli obbligazionisti sarà richiesta una sola votazione per avallare la rinegoziazione.

L’Italia ha versato al MES 14,2 miliardi di euro su 80,5 miliardi complessivi. Le sottoscrizioni arrivano a 704,78 miliardi, di cui 125,3 miliardi da parte nostra. L’ente ha attualmente una capacità di prestare denaro fino a 500 miliardi. I diritti di voto dei singoli stati si esercitano sulla base della quota di capitale sottoscritto. Dunque, l’Italia possiede il 17,75% dei voti nel board. Le decisioni si prendono all’unanimità, salvo qualora l’Unione Europea ritenesse che un dato intervento risulti necessario per la stabilità finanziaria. In quel caso, la maggioranza necessaria scende all’85%.

Questo significa che Germania, Francia e Italia hanno potere di veto, singolarmente prese. Ciascuna di loro detiene una quota superiore al 15%.

Meloni ha parlato dell’effetto stigma legato al MES. In altre parole, non avrebbe granché senso ratificare la riforma, se tanto sappiamo tutti che nessuno ne userà mai i fondi per il timore di essere percepito negativamente sui mercati finanziari. E questa è una realtà. Le condizioni apposte all’eventuale assistenza concessa a un governo sarebbero tante e tali da sfociare nel commissariamento di fatto. Gli investitori non la prenderebbero bene. D’altra parte, chi chiedesse aiuto al MES non se la passerebbe già in partenza bene. Il problema è che il MES non migliorerebbe la percezione, ma rischierebbe di alimentare la speculazione ai danni del debito pubblico.

Ratifica MES e riforma Patto di stabilità legate

Detto questo, l’Italia sta cercando apertamente di tirarla per le lunghe per barattare la ratifica del MES con una riforma del Patto di stabilità quanto più morbida possibile per un paese iper-indebitato come l’Italia. Non si tratta di cosa giusta o cattiva, ma di semplice posizione negoziale. Tutti gli stati hanno sempre trattato in Europa con il fine di salvaguardare il proprio interesse nazionale il più possibile. E’ giusto che sia così. Non esiste un bene supremo “europeo”, esiste una convergenza tra interessi da ricercare e trovare. Solo che l’Italia è stata per decenni l’unico paese ad avere ragionato come se accontentare le posizioni dei partner europei fosse un dovere a prescindere dall’impatto che ciò avrebbe avuto sul nostro interesse nazionale.

Non dimentichiamo che nel 1992 la Danimarca bocciò con un referendum popolare l’ingresso nell’euro. E nel 2005 Olanda e Francia bocciarono il Trattato europeo con rispettivi referendum. Nessuno si azzardò ad affermare che fosse un atto sacrilego.

Al contrario, fu un atto estremamente democratico e svelò l’avversione dei cittadini a riforme tortuose e giudicate irricevibili in paesi fondatore della CEE. E vogliamo parlare della Germania, la cui Corte Costituzionale si prende anche anni di tempo per esprimersi finanche sui dettagli di politica monetaria della Banca Centrale Europea? Gli esempio possono proseguire all’infinito. L’unica differenza è che negli altri paesi si discute del merito, da noi solo se la mancata adesione sia da considerarsi sacrilegio e lesa maestà.

Cosa se ne farebbero gli altri paesi della ratifica del MES? In teoria, nulla. In pratica, cresce il timore nel Nord Europa che qualche banca possa avere bisogno di soccorso. Ed è la Germania ad essere preoccupata più degli altri. Il ricorso al MES eviterebbe l’imbarazzo (e l’impopolarità) al governo federale di dover spendere denari pubblici in caso di attivazione del bail-in. Non a caso, il direttore generale dell’ente, Pièrre Gramegna, ha voluto evidenziare come siano le banche a contribuire al Fondo di risoluzione e che nel caso di aiuti, li restituirebbero in toto. Come a mettere le mani avanti sull’eventualità che qualcosa di simile prima o poi accada.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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