Andare in pensione prima è una aspirazione di molti lavoratori, perché il sogno di tutti è finalmente dire basta al lavoro. Soprattutto se questo lavoro è pesante ed è ormai di lunga durata. Ma una cosa è uscire con le pensioni ordinarie, quelle che si prendono per sopraggiunti limiti anagrafici, per sopraggiunti requisiti contributivi, o per ambedue le circostanze. Un’altra cosa è uscire con le misure di pensionamento anticipato di cui sempre di parla e su cui molti puntano. Perché, a prescindere da tutto, lasciare il lavoro in anticipo non può mai essere esente da penalizzazioni.
Andare in pensione anticipata conviene? A 58, 62 o 63 anni cosa cambia misura per misura
In altri termini, tagli di assegni vita natural durante per il pensionato. Però, in altri casi però i tagli di assegni durano lo stretto necessario ad arrivare all’età canonica della pensione di vecchiaia. In quel caso automaticamente o dietro domanda, l’INPS ricalcola l’assegno del lavoratore riportandolo a quello che doveva essere in origine.
“Salve a tutti, sono Piera, madre di due figli, lavoratrice di un supermercato ormai prossimo alla chiusura. Mi è stato già detto che sarò licenziata a fine luglio. Avendo 38 anni di contributi versati e compiendo 60 anni di età il 1° agosto, posso andare in pensione, forse, con Opzione donna. Ma ho dei dubbi ad accettare. Rischio di perdere molto di pensione?”
“Buonasera, sono un contribuente interessato alla quota 103. Forse ce la faccio ad andare in pensione con questa misura a novembre. Ma mi dicono di tagli di assegno da sopportare. Mi spiegate cosa ci rimetto dal punto di vista della pensione?”
“Gentile redazione, ho un dubbio particolare che mi riguarda. Vorrei andare in pensione con l’Ape sociale, io che sono edile di 63 anni già compiuti e ormai vicino ai 35 anni di contributi.
Tagli di assegno per la pensione anticipata: accade sempre
Tutti i quesiti dei nostri lettori hanno un minimo comune denominatore. Tutti parlano di tagli di assegni. Perché le misure di pensionamento anticipato non possono essere esenti da tagli. Questa è una considerazione oggettiva perché parte dalle regole di calcolo delle pensioni. Infatti uscire prima, salvo nei casi di chi perde il lavoro, significa interrompere la carriera lavorativa ed interrompere pure il versamento dei contributi. Nulla di strano in tutto ciò. Infatti solo chi perde il lavoro blocca lo stesso il versamento dei contributi. Chi può restare al lavoro e invece sceglie la pensione, non versando più contributi non aumenta il proprio assegno pensionistico.
Inevitabile sottolineare che ogni anno di contributi in più versati aumenta la pensione percepita. Una cosa è uscire con 41 anni di contributi per esempio, un’altra è uscire con 42 anni e 10 mesi. Oltretutto ci sono i coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensione. Coefficienti tanto più favorevoli al lavoratore e pensionato, tanto più anziani si lascia il lavoro e si passa alla pensione. In questo caso una cosa è uscire a 63 anni, un’altra è uscire a 67 anni. Prende di più il secondo, anche a parità di contributi versati.
Le penalizzazioni di Opzione donna, la pensione tagliata per sempre
Se quelli prima citati sono i calcoli fissi delle pensioni, che mettono in luce le penalizzazioni che un lavoratore subisce se esce prima dal lavoro a prescindere dalla misura, da dire c’è anche altro. Ci sono misure di pensionamento anticipato che prevedono tagli di assegno differenti da una misura all’altra. Prendiamo ad esempio opzione donna. Uscire dal lavoro a 58 o 59 anni, come hanno potuto fare rispettivamente le dipendenti e le autonome con età e 35 anni di contributi completati entro la fine del 2021, ha significato un netto taglio di assegno.
Lo stesso meccanismo di calcolo vale per Opzione donna di oggi, con l’età portata a 60 anni, e sempre con 35 anni di contributi ma a platea ridotta (caregiver, invalide, licenziate o in aziende con tavoli di crisi avviati). Il taglio di pensione per chi sceglie Opzione donna non cessa mai. Infatti chi esce con opzione donna resta in opzione donna a vita e prenderà sempre la stessa pensione, tagliata come i tecnici sottolineano spesso, anche oltre il 30%.
Pure l’Ape sociale ha tagli di assegno che pochi considerano
L’Ape sociale è una misura che permette l’anticipo a partire dai 63 anni di età con una dote di contributi variabile tra i 30 ed i 36 anni, in base alla categoria di appartenenza. Infatti possono avere accesso all’Ape sociale, gli invalidi, i caregiver, i disoccupati o chi svolge lavori gravosi. Il calcolo dell’Ape sociale come assegno pensionistico è un calcolo misto. Le penalizzazioni quindi non partono da questo fattore. Ma non mancano i tagli. Infatti l’Ape sociale non ha la tredicesima mensilità, non è reversibile in caso di decesso del pensionato, non ha le maggiorazioni sociali e gli assegni familiari. Oltretutto, non si indicizza al tasso di inflazione e non può superare i 1.300 euro al mese.
Penalizzazioni evidenti che però sono a scadenza come a scadenza è l’Ape sociale. Infatti la misura scade a 67 anni. Una volta compiuti i 67 anni di età il pensionato deve passare a richiedere la pensione di vecchiaia ordinaria. In quel caso tutte le penalizzazioni di assegno subite per tutti gli anni di anticipo goduti con l’Ape sociale, scompaiono.
Quota 103, penalizzazioni fino ai 67 anni di età
E a scadenza sono anche le penalizzazioni di assegno della nuovissima quota 103. La misura nata in sostituzione della quota 102 che a sua volta sostituì la quota 100, segue le stesse regole. Innanzi tutto la misura non consente di poter lavorare e prendere la pensione. Vige il divieto di cumulo dei redditi da lavoro con i redditi da pensione di quota 103. Solo il lavoro autonomo occasionale, se produce fino a 5.000 euro di reddito extra annuo, può essere ammesso. Ed è una prima forte penalità a cui sono assoggettati i pensionati di quota 103. A partire dai 62 anni di età con minimo 41 anni di contributi, il diretto interessato per poter tornare a lavorare deve attendere i 67 anni di età della pensione di vecchiaia. E sempre a 67 anni va via un’altra concreta penalizzazione della quota 103. Stavolta relativa all’importo del trattamento pensionistico che si percepisce.
Infatti con la pensione di quota 103 il lavoratore non può prendere più di 5 volte il trattamento minimo. Dal momento che il trattamento minimo definitivo per l’annualità 2023 è pari a 567,94 euro, la pensione massima percepibile con la quota 103 è pari a 2.839,70 euro. E parliamo di pensione lorda. Solo a 67 anni quindi, la pensione verrebbe ricalcolata senza considerare questo vincolo.