E’ un momento “nein” in Germania. Questa settimana, l’istituto di ricerca economica IFO ha rivisto in negativo le prospettive di crescita per il PIL. Passano dal -0,1% al -0,4% per quest’anno. E l’inflazione scenderà molto lentamente dal 6,9% del 2022 al 5,8%. Per l’anno prossimo, poi, il PIL aumenterà dell’1,5%, meno dell’1,7% precedentemente atteso, mentre l’inflazione scenderà al 2,1%. Numeri che ci dicono che la “locomotiva d’Europa” ha smesso di trainare i partner commerciali. In effetti, tutte le previsioni macroeconomiche sono state riviste al rialzo per l’Italia di recente.
La crisi del gas ha avuto effetti dirompenti sull’economia in Germania, mandandola in recessione e alimentando il boom dell’inflazione. Nel frattempo, il paese sta vivendo una crisi migratoria. Lo scorso anno ha registrato un aumento record della popolazione: 1 milione 122 mila di abitanti (+1,3%) a 84,4 milioni. Si tratta perlopiù dei profughi ucraini in fuga dalla guerra. Tutto ciò sta provocando un mix esplosivo anche sul piano politico. Mercoledì, l’istituto Insa ha pubblicato un sondaggio che non fa che confermare il trend dell’ultimo anno: gli euroscettici dell’AfD sono saliti al 20% dei consensi, alla pari con l’SPD del cancelliere Olaf Scholz e dietro solo all’Unione cristiano-democratica al 26,5%. Dietro ci sono i Verdi al 13,5% e l’FDP al 7,5%, entrambi al governo in maggioranza con i socialdemocratici.
Euroscettici volano, tedeschi arrabbiati anche per estremismo dei Verdi
La cosiddetta coalizione “semaforo”, così chiamata per i colori dei partiti che la compongono, insieme ottiene il 41% contro il 52% delle elezioni federali nel settembre 2021. Un crollo che penalizza pesantemente l’SPD (-5,7%) e l’FDP (-4%), con i Verdi a limitare le perdite all’1,3%. Gli euroscettici praticamente raddoppierebbero i voti. E guarda caso la loro corsa è iniziata proprio un anno fa, subito dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.
Nel tentativo di arrestare l’impopolarità, il governo federale sta mettendo mano al portafogli. Persino l’austero ministro delle Finanze, Christian Lindner, a capo dei liberali dell’FDP, ha avallato 10 miliardi di euro in aiuti di stato ad Intel per la costruzione di due stabilimenti nel Sachsen-Anhalt. Il Land è noto per essere tra i più poveri della Germania e principale area di consensi per gli euroscettici. L’iniziativa serve a lanciare un segnale a quella parte dell’elettorato “arrabbiato” con le istituzioni. E’ il 34%, ma tra coloro che votano AfD raddoppia al 70% per Insa.
Uno scenario horror in vista delle elezioni europee. Se sarà sancito alle urne che un tedesco su cinque vota per quella destra tacciata dagli altri partiti di essere “filo-nazista”, a Berlino scoppierà un caso politico. Tra l’altro, l’alleato di ferro versa in condizioni anche peggiori. In Francia la popolarità del presidente Emmanuel Macron è bassissima e sale, invece, il consenso per la destra di Marine Le Pen. Pur avendo ammorbidito i toni e moderato i programmi negli ultimi anni, resta nella percezione popolare una leader “euroscettica”.
Germania tra inflazione e recessione
Si capisce perché la Bundesbank stia ignorando i segnali recessivi in Germania e continui a sollecitare l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale Europea. L’inflazione sembra essere per il momento il principale motivo di arrabbiatura tra le famiglie tedesche. Non sono abituate a gestire fasi di instabilità dei prezzi al consumo. L’ultima volta che accadde fu esattamente un secolo fa, cioè tra il 1923 e il 1924.
Il guaio è che la stretta monetaria verosimilmente acuirà la recessione della stessa Germania, facendo frenare i prestiti e gli investimenti. L’unica apparente soluzione sarebbe che lo stato allentasse i cordoni della borsa per sostenere la domanda interna. Solo che così facendo, finirebbe per prolungare l’alta inflazione. Il suo ritorno alla normalità richiede la “distruzione” di parte della domanda. E questo non è di buon auspicio per il governo Scholz, che rischia di diventare ancora più impopolare da qui alle europee tra un anno.