Si chiama Robert Sesselmann, ha 50 anni e potrebbe passare alla storia come colui che ha dato il via ad una valanga politica nella “noiosa” Germania. L’uomo era candidato domenica scorsa alle elezioni per il distretto di Sonneberg, Turingia. Correva per Alternative für Deutschland (AfD), il partito della destra euro-scettica. Contro aveva il conservatore Jürgen Koepper, che al ballottaggio godeva dell’appoggio di tutte le altre forze politiche, compresa l’estrema sinistra. Il primo si è imposto con il 52,8% dei voti.
Per i sondaggi l’AfD viaggia attorno al 20% dei consensi, dietro solo all’Unione cristiano-democratica (CDU-CSU). La formazione, nata una decina di anni fa da un gruppo di accademici e industriali conservatori in rotta di collisione con l’allora cancelliera Angela Merkel, avvertita troppo “di sinistra”, è tacciata in patria di simpatie neonaziste. Tutti gli altri partiti hanno escluso qualsivoglia collaborazione con essa e c’è persino l’ipotesi di scioglierla per il pericolo all’ordine pubblico che rappresenterebbe.
Boom consensi AfD tra estremismo green e alta inflazione
La verità è che l’AfD minaccia gli equilibri geo-politici della Germania. E’ un partito ostile all’Unione Europea, perlomeno alla sua configurazione attuale. Ed è verissimo che i suoi consensi si siano ingrassati negli anni per mezzo della retorica contro i migranti. Tuttavia, l’exploit dell’ultimo anno ha a che vedere con altri temi principalmente: l’opposizione all’ideologia green dei Verdi al governo federale; l’alta inflazione scaturita con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Su questi temi, le posizioni dei conservatoriall’opposizione sono percepite deboli. Soprattutto, essi sono considerati fautori delle cause che avrebbero portato all’instabilità dei prezzi.
La Banca Centrale Europea (BCE) è scarsamente popolare in Germania.
Recessione Germania e Bundesbank in rosso
La Germania oggi è in recessione e al contempo patisce il dramma dell’inflazione. L’AfD ha buon gioco a sostenere che questo malessere sia stato provocato dai politici tradizionali di entrambi gli schieramenti. Proprio in questi giorni è uscito un report dell’authority federale per la quale la Bundesbank potrebbe avere bisogno di una ricapitalizzazione per ripianare le perdite. In parole povere, il governo Scholz potrebbe trovarsi costretto a mettere mano al portafogli (dei contribuenti) per iniettare liquidità a favore della banca centrale tedesca. Motivo? Ora che i tassi d’interesse stanno salendo, il valore degli asset a bilancio stanno precipitando.
Nel 2022 la Bundesbank di Joachim Nagel ha visto crollare il patrimonio di 108 miliardi di euro (-4%) a 2.900 miliardi. Non ha distribuito alcun profitto, avendo chiuso il bilancio in perdita per la prima volta dopo oltre quattro decenni. L’istituto ha replicato sostenendo che non avrà bisogno di ricapitalizzarsi. Potrà attingere alle riserve. Cosa significa tutto ciò? La politica monetaria della BCE rischia di far pagare materialmente un conto ai contribuenti tedeschi. E questo non piace per niente ai diretti interessati, specie all’elettorato più conservatore. Teme di pagare per sussidiare i paesi del Sud Europa come l’Italia, considerati “spendaccioni” e incorreggibili sul piano delle politiche fiscali.
Euro attira ire dei tedeschi
Un altro dato spaventa i tedeschi.
Ma c’è un problema. Questi rapporti di credito/debito sono solo virtuali. Non esiste una scadenza entro cui regolare i saldi. E’ come se Tizio avesse un debito di 100 euro con Caio, ma non è tenuto a pagarlo mai. In molti tra analisti ed economisti considerano questi dati solo come un esercizio privo di conseguenze pratiche. In verità, essi svelano la scarsa competitività che continuano ad accumulare i partner dell’euro verso la Germania. E l’allora governatore della BCE, Mario Draghi, rispondendo a una domanda dell’Europarlamento sul punto, chiarì che solo nel caso di uscita di uno stato dall’euro sarebbe tenuto a regolare i saldi del Target 2 “all’istante”.
AfD percepito alternativa a governo Scholz impopolare
Indirettamente, Draghi ha acceso una lampadina ai politici tedeschi. A destra, tra gli accademici conservatori vicini all’ex cancelliera, da anni simulano uno scenario obiettivamente molto remoto, ma che alla Germania fa in teoria gola. Se il paese uscisse dall’euro, avrebbe titolo per reclamare oltre un migliaio di miliardi dai partner europei. Un fiume di denaro che corrisponde oggi ad oltre un terzo del PIL tedesco. L’AfD ha una motivazione forte in più per prospettare agli elettori un’alternativa al caos economico di questa fase. Di fatto, Berlino scapperebbe dall’euro portandosi via la cassa. Non accadrà per ovvie ragioni, la prima della quale è che nessuno avrebbe materialmente i soldi per regolare i saldi del Target 2.
Il punto è che l’AfD coagula in misura crescente il dissenso contro la governance dell’euro, che si riflette in perdita del potere di acquisto e bolla immobiliare in Germania. Gli affitti costano carissimi nelle grandi città, dove comprare casa è diventato proibitivo. E gli stipendi neppure presso la prima economia europea stanno tenendo il passo. Dopo decenni si assiste a tensioni tra sindacati dei lavoratori e imprese in sede di rinnovo dei contratti. Ad aggravare la situazione l’inedita maggioranza di tre partiti al Bundestag, che appare più confusa che persuasa delle proprie misure. Accusati di essere filo-putiniani, i politici dell’AfD si battono contro il sostegno militare all’Ucraina. Tante sono le ragioni del loro boom, insomma. E nella stabilissima Germania inizia ad inquietare la loro ascesa apparentemente inarrestabile.