Come sosteniamo da mesi, sarà la Francia a rivelarsi determinante per spostare gli equilibri all’interno del board della Banca Centrale Europea (BCE). Parigi è ago della bilancia nelle istituzioni comunitarie, svolgendo da molti anni il ruolo di mediatore tra “falchi” del Nord e “colombe” del Sud. Che si tratti di politica fiscale o monetaria, è quella francese la voce che conta per far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. E nel fine settimana sono arrivate indicazioni interessanti proprio dai cugini d’Oltralpe.
Secondo il banchiere centrale transalpino, però, non ci sarebbe il raggiungimento di un vero e proprio “apice”, bensì di un “plateau”. Cerchiamo di capire cosa intenda. A fine luglio, la BCE quasi certamente, per non dire certamente, alzerà i tassi d’interesse per la nona volta consecutiva. E lo farà con altrettanto certezza per lo 0,25%. A quel punto, i tassi di riferimento saliranno al 4,25% e sui depositi bancari al 3,75%. Trattasi di livelli mai così alti da inizio millennio, cioè dagli albori dell’euro.
Tassi BCE fino a 4,25-4,50%
Il mercato sconta in misura crescente da settimane che l’apice sarà raggiunto, tuttavia, solamente a settembre. Per allora, si attende tassi sui depositi bancari al 4%. Pertanto, ciò equivale a prevede un decimo aumento dei tassi dello 0,25% dopo l’estate. Sarebbe teoricamente l’ultimo. Per il governatore della Banca di Francia le cose andrebbero diversamente. A luglio ci sarebbe un nuovo aumento dei tassi, dopodiché la BCE lascerà il costo del denaro a quei livelli per un periodo prolungato, cioè il tempo necessario perché compia il suo lavoro con efficacia e riporti sotto controllo l’inflazione.
La differenza tra “apice” e “plateau” sta tutta qui. Nel primo caso, sarebbe come dire che i tassi culmineranno ad una certa percentuale e successivamente inizieranno a scendere. Nel secondo caso, s’intende che i tassi rimarranno elevati per un po’. Se vogliamo, questa sarebbe l’opera di mediazione di Parigi tra falchi e colombe. Alle seconde concederebbe la fine quanto prima della stretta, ai primi che i tassi BCE rimarranno invariati a lungo.
Sempre dalla Francia è arrivata un’altra analisi altrettanto interessante. Villeroy ha replicato negativamente al ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, il quale aveva aperto al dibattito tra economisti circa l’ipotesi di alzare il target d’inflazione. Per il ministro bisogna capire se ciò possa servire per tenere a bada i costi di emissione dei debiti. Il banchiere non la pensa allo stesso modo. Ha fatto notare che, ad esempio, se la BCE portasse il target dal 2% al 3%, come minimo il mercato pretenderebbe un aumento dei rendimenti lungo la curva dell’1%. Dunque, non sarebbe per niente un affare.
Francia teatro di tensioni sociali
La Francia ha un’inflazione scesa al 4,5% a giugno. Grazie all’uso di energia nucleare per una percentuale elevatissima del suo fabbisogno, il paese non ha accusato con la stessa intensità dei partner europei la crisi del gas. Il picco d’inflazione fu toccato a inizio anno al 6,3%, oltre quattro punti percentuali in meno della media nell’Area Euro. A differenza della Germania, quindi, non ha alcun assillo sui tassi. D’altra parte, le rivolte delle scorse settimane nelle banlieue hanno confermato la grave crisi sociale che attraversa la società francese.
Se la BCE continuasse ad alzare i tassi anche al costo di strozzare l’economia e portarla in recessione, la Francia si troverebbe nella condizione spiacevole di gestire le tensioni interne con una crisi in corso. Non può permetterselo. Il presidente Emmanuel Macron, in caduta libera di popolarità, ha bisogno di arrivare alle elezioni europee in condizioni politiche dignitose o sarebbe trafitto senza appello dalla destra euro-scettica di Marine Le Pen da un lato e dalla sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon dall’altra. La fine della stretta dovrebbe arrivare entro luglio.