E’ stata una vicenda finita malissimo per Margrethe Vestager, numero due della Commissione europea e commissario alla Concorrenza, cioè massima espressione dell’Antitrust nell’Unione Europea. L’economista americana che aveva nominato a capo della sua struttura, Fiona Scott Morton, ha rassegnato le dimissioni questo mercoledì. Avrebbe dovuto iniziare la collaborazione dal prossimo settembre. Nella lettera la donna spiega di ritenere necessario il passo indietro dopo le polemiche politiche esplose a seguito della sua nomina. Rammarico è stato espresso da Vestager, che aveva difeso fino all’ultimo la scelta.
Dura sconfitta per Vestager
Ripercorriamo le tappe della vicenda. La scorsa settimana, Vestager annunciava che l’economista americana sarebbe diventata direttore generale dell’Antitrust a Bruxelles. La Francia aveva reagito piccatissima, mostrando forte opposizione con ben tre ministri del suo governo e attraverso il presidente Emmanuel Macron. Le critiche si concentravano su due aspetti: la nazionalità e il possibile conflitto d’interesse. Scott Morton aveva lavorato come consulente della Big Tech americana, sebbene per contratto non avrebbe potuto occuparsi delle aziende americane con cui aveva collaborato per un periodo di due anni.
Sul piano politico, Macron 1 e Vestager 0. La 55-enne danese ha avuto uno scivolone che potrebbe costarle caro. Contro la sua nomina si erano scagliati i capigruppo di molteplici partiti dell’Europarlamento, tra cui tutti quelli che sostengono la Commissione Ursula von der Leyen. Quando manca meno di un anno alle elezioni europee, questo brutto colpo può avere conseguenze drammatiche per la carriera di Vestager, a capo dell’Antitrust europea dall’autunno del 2014.
Danese nel mirino di Macron
Le ruggini con Macron non risalgono ai giorni scorsi. Agli inizi del 2019, ella bocciò la fusione tra la francese Alstom e la tedesca Siemens, due campioni europei nella segnaletica ferroviaria. Anche in quell’occasione il presidente francese andò su tutte le furie, sostenendo di accettare il responso, ma allo stesso tempo invocando un cambio delle regole.
Vestager è stata ad oggi una puntigliosa commissaria alla Concorrenza. A lei si devono posizioni forti contro i colossi americani del web, un fatto che piace alla Francia di Macron. Ma la sua politica è stata anche al centro di diverse tensioni europee. Il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, sempre nel 2019 ne reclamò le dimissioni dopo che la Corte di Giustizia UE aveva riconosciuto che l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi a favore di Banca Tercas non si configurava tra gli aiuti di stato.
Pensare che l’Antitrust europea sia neutrale nei suoi giudizi è pura ingenuità. Nel Sud Europa Vestager non gode di buona nomea, specie sulle vicende bancarie. E’ percepita con la testa molto più rivolta verso Nord. E’ esponente dello stesso raggruppamento liberale (Renew Europe) a cui appartiene Macron, a conferma che in Europa i gruppi non rappresentano linee politiche nette, bensì aggregano interessi nazionali convergenti, quando ci riescono. E i liberali sono sempre più divisi tra quanti sposano battaglie di sinistra come il Green Deal di Frans Timmermans e altri che guardano più a destra. Grosso modo il Nord Europa fa parte dei primi.
Antitrust oggetto di appetiti dopo elezioni europee
Colpendo indirettamente la commissaria sull’Antitrust, la Francia prenota la carica per dopo le elezioni europee. Oggetto del contendere sono e saranno in misura crescente gli aiuti di stato. Vestager ha allentato le normative con la pandemia, ma favorendo in maniera scandalosa la Germania. Grazie ai margini di bilancio, essa ha potuto ottenere il via libera per il 50% dei fondi autorizzati da Bruxelles nel triennio considerato. A seguire vi è stata, però, proprio la Francia di Macron con quasi il 30%.
Vestager ha compiuto un passo falso per sicumera. Un numero crescente di collaboratori la accusa di gestione solitaria dell’Antitrust. E questo non va bene in una comunità composta da ventisette interessi nazionali differenti. Basti guardare ai nomi che hanno firmato la lettera inviata alla presidente von der Leyen per ottenere le dimissioni di Scott Morton: il francese Thierry Breton, l’italiano Paolo Gentiloni, lo spagnolo Josep Borrell, la portoghese Elisa Ferreira e il lussemburghese Nicolas Schmit. In pratica, c’era quasi tutto il mondo latino ad avere inviato un segnale a Bruxelles: la difesa degli interessi industriali non sarà un affare nordeuropeo. La conferma che fare politica a Bruxelles, anziché accettare per oro colato le decisioni dei burocrati europei, è possibile e non lesa maestà in odore di sovranismo. Qualcuno lo spieghi ai leader della sinistra italiana.