L’ideatore del Green Deal europeo si candida a diventare il prossimo primo ministro in Olanda. Frans Timmermans è a capo dei socialisti europei ed è anche vice di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. E’ riuscito a imporre all’intero Europarlamento la sua agenda ambientale, che parla di limiti, divieti e tasse per contribuire alla lotta all’inquinamento. Nel frattempo i Verdi stanno sostanzialmente tenendo in ostaggio il governo tedesco del cancelliere Olaf Scholz. Per carità, non stanno puntando la pistola alle tempie di nessuno, ma pur con un consenso minoritario in Germania riescono a dettare la linea nella coalizione “semaforo” al Bundestag.
La necessità di varare una seria politica di lotta all’inquinamento non è messa in discussione da nessuno. Anche ammesso che i cambiamenti climatici non abbiano a che spartire con le attività umane, difendere l’ambiente comporta ugualmente benefici per la salute non solo del pianeta, bensì in primis dell’essere umano. Ridurre le emissioni di CO2 è qualcosa che serve per respirare un’aria più pulita, bere acqua più salutare e ridurre l’incidenza di malattie comuni e altre assai più gravi e letali.
Transizione energetica impatta su inflazione
Dentro l’Unione Europea, tuttavia, l’ideologia ha preso il sopravvento contro ogni altra considerazione. Un esempio lo offre il mercato degli ETS. In esso si scambiano le quote di CO2 tra oltre 11.000 aziende nell’area. Bruxelles assegna ogni anno a ogni azienda energivora una quantità decrescente di quote CO2, cioè di permessi per inquinare. Superata la soglia, per continuare a inquinare, ergo a produrre, l’azienda deve eventualmente acquistare quote rimaste inutilizzate da aziende più efficienti. Questo meccanismo punta ad incentivare l’efficienza energetica e a punire chi più inquina.
In questi ultimissimi anni di crisi dell’energia, da più parti si era sollevata la proposta di sospendere lo schema, al fine di mitigare l’impennata dell’inflazione.
UK più competitiva con UE su emissioni CO2
Che l’Unione Europea stia vivendo in una bolla ideologica lo dimostra quanto accaduto un mese fa nel Regno Unito. Anche Londra adotta un sistema assai simile alle aste ETS di cui faceva parte quando era un membro comunitario. Agli inizi di luglio, le autorità hanno imposto un’accelerazione alla riduzione delle emissioni di CO2 nel paese, con l’obiettivo di tendere al “net zero” nei prossimi decenni. Ma hanno accompagnato tale misura all’aumento delle quote disponibili tra il 2024 e il 2027 per 53,5 milioni di unità. In pratica, da una parte hanno ampliato l’utilizzo dello schema, dall’altro hanno accresciuto l’offerta delle emissioni inquinanti gratuite. E hanno assicurato copertura alle aziende almeno fino al 2026 per proteggerle dai mercati che non adottano sistemi di limitazione delle emissioni di CO2.
Il risultato di questa nuova politica britannica è stato evidente: prezzo di una quota sceso da oltre 58 a poco più di 40 sterline. Nell’Unione Europea, la discesa è stata molto più contenuta, di circa 4 euro a 83,50 euro. Tenuto anche conto delle variazioni del cambio, abbiamo che una tonnellata di CO2 nel Regno Unito costava il 77% di una tonnellata nell’Unione Europea.
Lotta inquinamento rischio boomerang in UE
Gli ambientalisti si sono scatenati contro tale politica, sostenendo che il governo di Rishi Sunak pagherà nel lungo periodo la maggiore competitività guadagnata nel breve a favore delle proprie imprese. C’è un problema: Regno Unito e Unione Europea incidono insieme per appena il 7,6% delle emissioni di CO2 nel mondo. Quand’anche per assurdo le azzerassero con una lotta all’inquinamento draconiana, i risultati globali risulterebbero impercettibili. Il resto del pianeta continuerebbe ad incrementare le proprie emissioni al punto da soppiantare le riduzioni europee. Parlando con franchezza, la maniacalità con cui Bruxelles persegue il Green Deal servirà, ahi noi, poco all’ambiente. In cambio, rischia di distruggere l’industria comunitaria.
C’è un paradosso in questa linea ideologizzata. Se un’impresa chiude nell’Unione Europea, travolta dai costi legati alla transizione energetica che la rendono non competitiva, la sua quota di mercato potrebbe prendersela un’impresa cinese, indiana, vietnamita o persino americana, tenuta a rispettare minori vincoli ambientali in fase di produzione. Risultato: l’Europa perde posti di lavoro e l’inquinamento mondiale aumenta, anziché diminuire. Il giusto compromesso sarebbe una lotta all’inquinamento capace di salvaguardare le ragioni dell’economia. Più produciamo nella pulita Europa, minori le emissioni globali di CO2.