Dopo il dato sull’inflazione negli Stati Uniti a luglio, la Federal Reserve sarebbe propensa a prendersi una pausa dall’aumento dei tassi di interesse. La crescita dei prezzi al consumo è salita al 3,2% dal 3% di giugno, ma meno delle attese al 3,3%. Anche nell’Eurozona il mercato sconta al 60% una pausa per settembre. La Banca Centrale Europea (BCE) ha alzato i tassi di riferimento al 4,25% e sui depositi bancari al 3,75%. La stretta monetaria potrebbe non essere finita qui, dato che l’inflazione nell’area resta ben sopra il target del 2%, ancora al 5,3% a luglio.
Che l’aumento dei tassi BCE non sia più scontato per settembre lo ha segnalato il governatore Christine Lagarde alla conferenza stampa post-board di fine luglio. “In questo momento non direi che abbiamo terreno da recuperare”. A giugno, aveva escluso anche solo l’ipotesi di una pausa. E dire che i dati macro indichino una ripresa dell’attività economica nell’Eurozona per il secondo trimestre. In generale, però, la crescita resta debole e l’attività manifatturiera è in caduta. Tassi più alti colpiscono gli investimenti delle imprese e il credito anche alle famiglie. La domanda scivola e questo, se da un lato serve proprio per arrestare l’inflazione, dall’altro può innescare una spirale recessiva.
Modello tedesco in crisi
A preoccupare è particolarmente la Germania, prima economia europea e quarta mondiale. E’ sì uscita dalla recessione, ma non è tornata a crescere. Su base annuale, il suo PIL continua ad arretrare. La sua produzione industriale è in calo e al contempo l’inflazione tedesca è al 6,2%, ben sopra i livelli medi dell’area.
L’AfD è accusata da tutti gli altri partiti di essere una formazione neonazista. Vi immaginate cosa significherebbe se alle elezioni europee arrivasse seconda o persino prima? Il suo consenso è alimentato sia dall’immigrazione incontrollata, sia dalle difficoltà dell’economia domestica. I tedeschi sono particolarmente sensibili al tema dell’inflazione, ma in questo caso se ne affianca un altro: il modello economico sin qui seguito. La Germania produceva a basso costo grazie a gas e petrolio dalla Russia ed esportava molto in Asia grazie alla globalizzazione. La guerra ha chiuso i rubinetti di Mosca e sin dalla pandemia i mercati sono meno aperti, tant’è che si parla di “reshoring”, cioè di rilocalizzazioni produttive.
Aumento tassi, scelta impossibile per Germania
La BCE è in un “cul de sac”. Se pone fine all’aumento dei tassi, sosterrà l’economia europea e rischierà di tenere alta l’inflazione più a lungo. Se continuerà con la stretta, fermerà l’inflazione con il rischio di far precipitare l’economia, specie in Germania. In ognuno dei due scenari, un brutto colpo sul piano politico per Berlino. Scholz ha dinnanzi a sé una scelta impossibile: inflazione o recessione. Per questo l’ipotesi più probabile è che alla fine prevalga la linea di compromesso avanzata dall’italiano Fabio Panetta, futuro governatore della Banca d’Italia: stop all’aumento dei tassi BCE, ma loro mantenimento ai livelli massimi per un periodo prolungato.
La pausa di settembre servirebbe alla BCE a prendere tempo per verificare l’efficacia della stretta sin qui adottata. Un eventuale nuovo aumento dei tassi sarebbe a fine ottobre o a dicembre. Un primo taglio dei tassi non avverrebbe prima della metà dell’anno prossimo, anche se le aspettative mutano sui mercati rapidamente insieme al flusso dei dati macro. Alcuni analisti lamentano che la BCE si sarebbe spinta troppo in là quando ha legato la sua politica monetaria all’inflazione di fondo. Si è un po’ troppo legata le mani e adesso corre il rischio di doversi rimangiare quanto dichiarato in precedenza. La stabilità dei prezzi non sarà riacciuffata quanto prima, ma l’economia non sarebbe capace di assorbire ulteriori aumenti dei tassi.