Un rimbalzo del 6% per il rublo russo dai minimi toccati alla vigilia di Ferragosto, quando il tasso di cambio contro il dollaro era sprofondato a 100. Era il dato più debole dal marzo dello scorso anno, quando la Russia fu travolta dalla fuga dei capitali a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Giorno 15, la Banca di Russia si è riunita in emergenza per annunciare l’aumento dei tassi di interesse di 350 punti base o 3,50% al 12%. La decisione è stata assunta proprio per cercare di arrestare la caduta del cambio, che quest’anno perde oltre il 21%.
Sanzioni contro Russia efficaci
Il trend negativo ha subito una brusca accelerazione negli ultimi tre mesi. Il rublo risente delle potenti sanzioni finanziarie comminate dall’Occidente contro la Russia. Tra queste, l’embargo sulle importazioni di petrolio sopra 60 dollari al barile. E le importazioni di gas russo in Europa sono state quasi azzerate. In pratica, il Vecchio Continente si è reso indipendente da Mosca sul piano energetico.
In effetti, il saldo delle partite correnti nei primi sette mesi di quest’anno è rimasto attivo, ma in calo di 140 miliardi di dollari rispetto allo stesso periodo del 2022. I prezzi del gas sono precipitati e sebbene il petrolio resti caro, le vendite di quello russo sono state dirottate in Asia, dove avvengono a forte sconto rispetto alle quotazioni internazionali. C’è da considerare anche, poi, che queste si tengono elevate e sono in ripresa negli ultimi mesi, ma solo per effetto del taglio dell’offerta da parte dell’OPEC+. La stessa Russia ha ridotto la sua produzione di quasi mezzo milione di barili al giorno dai massimi di inizio 2022.
Inflazione risale anche a causa dell’invio di truppe in Ucraina
L’economia russa soffre per le sanzioni. Il suo PIL al 2026 è atteso dell’8% più basso di quello che sarebbe stato in uno scenario pre-bellico.
Guardando al dato dell’inflazione russa e confrontandolo con i livelli medi tra le principali economie occidentali, diremmo che non vi sia alcun allarme. A luglio, l’indice dei prezzi al consumo è salito del 4,3% su base annua. Ma è un tasso quasi doppio del 2,3% minimo toccato in aprile. Una delle principali criticità è data dall’offerta limitata, in parte a causa proprio delle sanzioni internazionali. E a ciò si aggiunge la scarsa disponibilità di manodopera a causa della partenza per il fronte ucraino di centinaia di migliaia di giovani.
Rublo debole conviene a Putin
Detto ciò il rublo debole fino ad un certo punto serve alla Russia. Poiché materie prime come il greggio sono esportate in dollari, quando il valore di questi sale, i ricavi in valuta locale aumentano e con essi le entrate statali. Il rublo debole serve, in buona sostanza, per tenere basso il deficit pubblico. A titolo di esempio, alla vigilia della guerra, ad inizio del 2022, un dollaro valeva 75 rubli. E un barile di Brent costava meno di 80 dollari. In pratica, la vendita di un barile rendeva alla Russia meno di 6.000 rubli. Oggi, con un cambio di quasi 94 e un Brent a 84 dollari, un barile equivale a quasi 8.000 rubli. I ricavi sono cresciuti di un terzo e solamente se la produzione scendesse almeno altrettanto le entrate inizierebbero a contrarsi rispetto allo scenario pre-bellico.
D’altra parte, il rublo debole colpisce l’economia russa. Aumenta i prezzi dei beni importati e riduce il potere di acquisto delle famiglie.
Lo scorso anno, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina il cambio esplose fino al minimo storico di 134 per poi riprendersi e crollare fin sotto 55. La ripresa era stata così immediata e robusta da convincere molti analisti, anche internazionali, che le sanzioni avessero fatto un baffo alla Russia. In realtà, erano stati i controlli sui movimenti dei capitali ad avere avuto effetto, unitamente alla maxi-stretta monetaria con tassi di interesse al 20%. L’allentamento monetario e dei controlli medesimi fece gradualmente indebolire il rublo. E anche in quel caso fu la Banca di Russia ad avere optato per un cambio più debole per salvaguardare i conti pubblici. Con il benestare implicito di Vladimir Putin s’intende.